UNA COPPIA COSI' STRANA...
“C’è un quadro della realtà politica italiana da far accapponare la pelle”. Non è una frase attuale. E’ di Eugenio Scalfari, del 1981, pronunciata durante una famosa intervista ad Enrico Berlinguer sulla questione morale. Non c’era niente da ridere. Allora come oggi.
di Wanda Montanelli
“Ci
divertiranno”, ha detto Gianpaolo Pansa parlando della strana coppia.
Sorrideva e non si riferiva al testo di Neil Simon portato al successo da Walter
Matthau, ma alla coppia Di Pietro Occhetto, e ciò affermando, il vicedirettore
dell’Espresso, contagiava nell’allegria gli altri personaggi presenti
ad un talk show televisivo.
Mi viene in mente, per una doppia analogia, Enrico Berlinguer di cui si diceva
che non ridesse mai e che un giorno, stanco di questi inopportuni inviti al
sollazzo, rispose ad un giornalista: “ Che cosa c’è da ridere?”.
Erano gli anni Ottanta, emergeva la degenerazione dei partiti come fattore principale
della crisi della politica italiana.
E’
famosa l’intervista fatta ad Enrico Berlinguer da Scalfari, sul quotidiano
“La Repubblica”, del 28 luglio 1981, in cui il Segretario del PC
dichiarava: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di
clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società
e della gente; idee, ideali, programmi, pochi o vaghi; sentimenti e passione
civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori,
talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni
umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.
Eugenio Scalfari, pur riconoscendo che la descrizione fatta dal segretario del
PCI era in gran parte un quadro realistico gli rispose che questa descrizione
della realtà italiana “faceva accapponare la pelle”. D’altra
parte nessuno poteva negare che i partiti fossero, anziché formazioni
atte a promuovere la maturazione civile e l'iniziativa del popolo, soltanto
“federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss"
e dei "sotto-boss", che avevano “occupato lo Stato e tutte le
sue istituzioni, a partire dal Governo”. Ed era di dominio pubblico il
fatto che l’occupazione dei partiti si estendeva “agli enti locali,
gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali,
gli ospedali, le università, la Rai TV, e alcuni grandi giornali”,
come Berlinguer dichiarava.
Oggi Achille
Occhetto sostiene che Berlinguer avrebbe sicuramente gradito l’appoggio
di un magistrato come Antonio Di Pietro all’epoca in cui portava all’attenzione
di tutti la “questione morale”. Forse una coppia Berlinguer - Di
Pietro, nei tempi passati, avrebbe strappato, al Segretario del PCI di allora,
se non un sorriso, almeno un’espressione meno cupa; rasserenata dalla
speranza. di un possibile cambiamento.
A distanza di oltre vent’anni si parla della Lista Di Pietro Occhetto
e Società civile come qualcosa di “strano”. L’aggettivo
secondo me può essere accettabile nel significato di “insolito,
originale, nuovo.. Certamente è atipica e ambiziosa l’intenzione
di cercare una soluzione equilibrata al grandissimo dramma del Novecento, quando
– come spesso afferma Occhetto - “c’era da una parte chi pensava
all’uguaglianza senza libertà e dall’altra chi pensava alle
libertà ma senza uguaglianza”.
La distanza
tra i due concetti, apparentemente incolmabile, ha creato enormi conflittualità
tra le parti sociali contrapposte. Ha allontanato il principio e la consapevolezza
che il bene di una parte è indissolubilmente legato all’altra,
e non tenendone conto si producono guasti, economici e morali e ostilità
sotto varie forme.
Non è un discorso circoscritto ad un territorio, una nazione, o piccola
contrada. In questo periodo di globalizzazione riconosciuta e analizzata in
ogni aspetto, ci stiamo accorgendo come il disagio di popoli a migliaia di chilometri
da qui si ripercuote sulla nostra vita.
Diceva Berlinguer che il consumismo individuale esasperato produce non solo
dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche smarrimento, infelicità,
oltre all’aggravamento del divario tra sviluppo e arretratezza. Aggiungeva
che di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei paesi ex coloniali
non è più possibile assicurare uno sviluppo economico e sociale,
conservando la “società dei consumi” con tutti i suoi guasti.
Bisogna allora cambiare registro. Cercare qualcosa di nuovo, difficile e “strano”,
che colmi il divario. Impossibile evitare di farlo dati i risultati attuali.
Le conflittualità in campo nazionale, internazionale, e dietro ad ogni
angolo del nostro, non più sicuro quartiere di paese civile, ce lo impongono.
Siamo tutti
legati ad un unico destino. E’ questo il principio di cui non dobbiamo
dimenticarci.
Le isole felici nel futuro non avranno più oceani dove emergere, perché
i danni ecologici, morali, materiali le affosseranno. Nessuno oggi in buona
fede può pensare di crearsi uno spazio vivibile a dispetto di tutto il
resto dell’umanità. A dispetto della giustizia sociale.
Ma rientriamo
in Italia.
Sostiene oggi Occhetto che in una politica di giustizia sociale l’ideale
è congiungere libertà ed uguaglianza, intese come l’estensione
dei diritti di cittadinanza, la tutela dei lavoratori e dei giovani precari,
le possibilità di accesso per tutti alle fonti di informazione.
Questo progetto della nostra Lista consiste – secondo lui - in una doppia
linea di rinnovamento, da una parte “la giustizia sul terreno della lotta
alla corruzione e dall’altra la giustizia per i poveri, i lavoratori e
gli oppressi”.
Il concetto di giustizia assume così quei significati ampi che gli sono
tradizionalmente dati dall’uso comune e da tutte le volte che è
menzionato dalla nostra Costituzione. Insomma Giustizia non è una brutta
parola di cui vergognarsi. Cercare la giustizia vuol dire cercare dignità
umana, uguaglianza, rispetto, libertà. Stima dell’uomo, considerato
uguale a tutti gli altri esseri dotati di intelligenza, moralità, soffio
vitale. A prescindere dal loro status.
Il grande
debito che molti di noi hanno con il magistrato Antonio Di Pietro è quella
meravigliosa sensazione di aver toccato la “giustizia” con mani
ai tempi di Tangentopoli. Il piacere di accorgersi
quella volta, e poche altre, che le parole: Legge, Costituzione, Diritto, non
erano solo frasi prive di significato, ma avevano valore. Giustizia non è
una brutta parola. Non ha nulla a che fare con giustizialismo. Significa semplicemente
che gli uomini sono tutti uguali, e non esiste potere, ricchezza, furberia,
o classe di appartenenza che possa modificare questo dato di fatto. Siamo tutti
capaci di fare i furbi. Ognuno di noi può trovare un Picone qualsiasi
che lo spinga ad emergere tra altri più meritevoli. Ma che soddisfazione
c’è a far mangiare la polvere agli altri che corrono a piedi quando
tu sei spinto su una carrozza?
La legge uguale per tutti fa crescere ognuno di noi in dignità. Ogni
tipo di legge, o norma o regola sociale che stabilisca l’eguale valore
di ogni essere umano esalta la nostra specie. Ci permette un ulteriore percorso
in avanti verso la civiltà.