L’IDIOTA TELEVISIVO

Idee, emozioni e credenze hanno un potere di contagio simile a quello dei microbi, purtroppo troppe volte la diffusione si trasforma in nefanda epidemia

E’ solo davanti alla tv. L’uomo potrebbe avere trentacinque, diciotto, o sessant’anni. Un panino e un pacchetto di patatine costituiscono il suo pranzo quando non ha voglia di cuocersi due uova al tegamino. Non importa come si chiama, né ha valore il suo grado di cultura. E solo, anche quando è attorniato da persone di famiglia con le quali non parla. I suoi congiunti, se esistono, e se pure gli rivolgono la parola non comunicano con lui. Le frasi superficiali tra l’uomo e il nucleo familiare di appartenenza, servono solo per questioni pratiche: “Hai comprato il latte? Mi ritiri la ricetta medica?”. Poi il vuoto. Non si conoscono né sanno come ognuno di loro trascorre il tempo libero. Fingono di esserci, di intendersi e di parlare. In realtà sono perfetti estranei. Per questo succede ciò che nessuno si aspetta.
Un tg nazionale trasmette la notizia. E’ avvenuto un fatto. Suggestivo come un film giallo. Una bambina viene intossicata da un biberon contenente, oltre a latte in polvere, acqua saponata.. Sottolineiamo in che modo la notizia è comunicata. Si indugia sulla novità, sul danno procurato alla neonata, si riprende l’ospedale presso cui è ricoverata, si intervistano i genitori che spiegano le dinamiche dell’accaduto. In chiusura s’inquadra il medico responsabile del reparto pediatria che afferma che non c’è pericolo immediato per la bambina. Tutto andrà a posto in breve tempo. Dopodiché nessuno ha nulla da dire. Neanche una parola di riprovazione, condanna o disprezzo per l’autore del gesto. Quasi si trattasse dello scherzo di un buontempone.
Appare come normale o giustificato il fatto che una persona si permetta di introdurre candeggina o altra sostanza tossica in bevande destinate al consumo di persone, adulti o bambini. Nessuno dice veramente cosa pensa dell’uomo che ha compiuto il gesto.
Ne consegue che l’idiota televisivo, quello che ha appena finito di sgranocchiare patatine, assiste al telegiornale. Si interessa e si emoziona per la notizia. Per un attimo la frustrazione e la noia che pervadono le sue giornate scompaiono. Ora l’uomo ha qualcosa su cui focalizzare la propria attenzione. Un progetto per uscire dall’alienazione quotidiana, per vendicarsi dei rimproveri che riceve in famiglia o dalle angherie del capoufficio. Si sintonizza con tutti i tg che parlano di acquabomber, poi decide di agire. Un po’ di tachicardia lo fa fremere mentre di nascosto prende dal cassetto dei medicinali una siringa da insulina della nonna diabetica. Riempirla di candeggina non è poi un‘impresa difficile. Con i polsi che gli tremano l’idiota esce di casa e si reca nel vicino supermercato. In un angolo del reparto bevande si pone davanti allo scaffale dell’acqua minerale. A questo punto inserisce l’ago, spinge lo stantuffo e introduce la sostanza in una bottiglia. E’ fiero di sé.Una scarica di adrenalina lo fa sentire vivo. Ha compiuto la sua vendetta. E compiendola si è assegnato quel quarto d’ora di celebrità al quale, secondo Andy Warhol, ognuno ha diritto. Un premio a se stesso. Un ruolo da eroe negativo, una conferma che anche a lui è permesso di stare tra le persone degne di essere rappresentate in tv. L’idiota sa, da adesso in poi, di esistere. La tv parlerà di lui. Dell’uomo misterioso che in un paese della provincia italiana ha saputo introdurre veleno nelle bevande che hanno intossicato qualcuno.
A Cagliari o Canicattì possono avvenire fatti analoghi. L’unica logica conseguenza è che altri ripetano il gesto eroico. Due, tre, poi venti e così via. Che ci si aspetta dopo l’infelice inizio?
La storia proseguirà fino a quando giornali e tv si interesseranno dell’acqua-bomber. Pensate che nome suggestivo per il nostro idiota: Acquabomber o Unawater. Da uomo vessato, con pochissima autostima, da essere oppresso che permette a tutti di dargli addosso, si trasforma in nientedimeno che “acquabomber” e di lui parlano i telegiornali di tutti i canali televisivi.
La stessa cosa accadde all’epoca dei sassi lanciati dal cavalcavia, o al tempo degli unabomber, che periodicamente ricompaiono con esplosivi nei giocattoli o in confezioni regalo in vendita nei negozi. Nel passato c’era pure l’avvelenatore dei boeri, i cioccolatini dati talvolta come resto nei bar di periferia. Allora era sempre lo stesso idiota che agiva per compiere gesti di protesta verso la società, a suo parere, colpevole della sua frustrante esistenza.
Così, sera dopo sera, assistiamo al moltiplicarsi degli atti criminosi, con un dilagare delle possibilità o delle varianti suggerite dallo stesso mezzo televisivo. Si comincia col giornale radio, e l’articolo del quotidiano che dà l'imbeccata: ”Si temono attentati anche sulle buste di latte!” e puntualmente avviene che si trovi latte insaponato, e poi perché no? succhi di frutta all’ eau de Javel, e persino vino in bottiglie di vetro contaminato attraverso un foro nel tappo d’alluminio. Non c’è nulla che si salvi a questo punto.
La notizia è sempre data con lo stesso atteggiamento protettivo verso il criminale di turno. Ho ascoltato l’altra sera l’intervista a un poliziotto investigatore che, dopo aver spiegato l’accaduto, ha definito i malfattori “questi signori”. Strano. Avevo un concetto diverso del termine “signori”. Credo che in simili circostanze sia opportuno attribuire il nome giusto a chi si macchia di simili azioni. Non c’è alternativa, o si tratta di crimine o di demenza. Non ci sono “signori” in questa faccenda ma idioti, tanti idioti moltiplicati per emulazione.
“A somiglianza degli animali l’uomo è un imitatore per natura. L’imitazione costituisce per lui un bisogno, a condizione, beninteso, che questa imitazione sia facile”. Lo scrisse G. Le Bon, e come la sua, altre teorie sulla comunicazione, tra cui quella behavioristica, individuano uno stretto rapporto di causa ed effetto tra la rappresentazione di scene delittuose e l’incremento della criminalità.
Diversi autori tra cui Grandi e Mastronardi sostengono che “l’esposizione ad un insieme di immagini aventi per oggetto comportamenti devianti, può comportare effetti negativi su soggetti particolarmente vulnerabili che, subendo più facilmente le influenze e i condizionamenti provenienti dall’esterno, sono maggiormente indotti ad imitare atteggiamenti e comportamenti antisociali propri dei personaggi e degli ‘eroi’ che quotidianamente osservano sullo schermo. E ciò soprattutto se l’azione aggressiva o violenta risulta, dal complesso della vicenda, come giustificata”.
La “teoria della “Frustrazione-aggressione”, descrive, allo stesso modo, che “le tendenza aggressive presenti in ciascun individuo hanno maggiori possibilità di estrinsecarsi quando il soggetto, trovandosi in una situazione di collera e frustrazione, viene esposto ad un incitamento esterno”.
Quindi la rappresentazione di comportamenti aggressivi, parzialmente giustificati, può avere come esito l’emulazione, se questi sembrano diretti contro qualcuno che presenta caratteristiche simili a quelle di coloro nei cui confronti lo spettatore prova ostilità o rancore” (Berkowitz).
Accade, in sintesi, che la trasmissione della notizia, contribuisce talvolta ad allentare i freni inibitori, a ridurre il senso di ansia e di colpevolezza inducendo nel soggetto il convincimento, almeno temporaneo, che anche una propria reazione aggressiva nei confronti di chi egli ritiene causa della personale frustrazione sia legittimata.
E pur vero che teorie opposte, come quella psicoanalista di Feshbach, trovano in certi episodi rappresentati al pubblico una correlazione benefica che produce effetti catartici e una riduzione del grado di aggressività dei soggetti sottoposti a questo genere di comunicazione.
L’effetto catartico però non si può facilmente dimostrare, quello emulativo invece sì.
Come già avvenuto in epoche recenti, l’unico modo per far cessare le azioni scellerate è smettere di parlarne. Se proprio non vogliamo classificare come idiota l’idiota e come criminale il criminale. Smettiamo di interessarcene. Credo sia indispensabile, come al tempo dei suicidi da ossido di carbonio, ricorrere al solito giro di telefonate tra direttori di giornali e tg per decidere il silenzio stampa.

Consuelo Parrini