Svegliarsi e accorgersi che la consueta energia è esaurita. Sembra un incubo ma forse è un bel sogno
Un
transistor sotto il cuscino, il filo dell’auricolare legato agli eventi
del mondo può darci l’illusione di essere dovunque, perché,
diciamolo, il dono dell’ubiquità è ciò di più
invidiamo a Dio. Quella possibilità di essere dappertutto per controllare
la situazione in generale e nel particolare. Ci sta abituando a questa illusione
il senso di potere dato dalla televisione sempre accesa, dalla comodità
di chattare in internet con persone all’altro capo del mondo, inviando
contemporaneamente molteplici messaggi in tempo reale, e rispondere magari al
cellulare, mentre due condomini parlando dietro l’uscio di casa ti informano
involontariamente che la sposina al terzo piano aspetta un bambino. Più
ubiqui di così!
Poi inaspettato arriva il buio. Ti alzi di notte e cerchi di accendere la lampada
del comodino senza riuscirci. Ti affacci ed è notte fonda oltre i confini
del giardino. I lampioni sono spenti. Rammenti Gregory Peck nel film di Robert
Mulligan. Anche lì contrapposizione tra bianco e nero. Un nero accusato
di aver violentato una donna bianca. Il buio oltre la siepe. Qui invece è
nera l’intera zona. Si torna a letto. Da sotto il cuscino il transistor
informa che tutta l’Italia è a luci spente. La sorte ironica ha
trasformato la nuit blanche in noire. La notte bianca romana si è trasformata
nella notte più nera mai esistita.
Porto notizie alla famiglia, vado in camera dei ragazzi che s’affannano
a inviare SMS per saperne di più da chi si trova nel centro di Roma,
appiedato, al buio, deluso che la festa notturna sia finita male. “Come
fai a sapere?” mi chiedono. Mostro il piccolo transistor e noto un’immediata
rivalutazione della radio che mi viene chiesta in prestito e trattenuta per
l’ascolto come una fonte preziosa di verità. In questa situazione
di emergenza si possono fare valutazioni inconsuete. Per esempio su come ci
si prospetta il mondo senza i mezzi abituali di comunicazione. Ecco che si trascorre
il tempo leggendo. Meno male. Meditando sull’accaduto ci accorgiamo che
noi italiani siamo originali anche nei disservizi. I blackout all’estero
scattano nei momenti di massimi consumi, da noi invece quando i consumi sono
al minimo. Un evento del genere che ha spento le luci nelle case di 57 milioni
di italiani accade per la prima volta in Italia proprio quando Roma festeggia
la notte bianca. La notte in cui tutto deve essere illuminato con negozi aperti,
percorsi culturali, musica, eventi, rappresentazioni teatrali un po’ dovunque.
Succede invece che tutto viene ingoiato dal buio. Strana coincidenza. Da non
crederci. Tutto per un albero. Un albero caduto in Svizzera che spegne le luci
a Roma. Forse l’albero di Percy Tannenbaum segnalato dagli studiosi di
comunicazione di massa? L’albero che se cade e nella foresta e se la tv
non lo dice in effetti non è caduto. Esiste solo ciò che dice
la televisione, allora possiamo presumere che l’albero, stufo di cadere
senza che nessuno ne parli, stanco di non esistere ha deciso di cadere bene
stavolta, procurando il buio totale. Così finalmente se ne parla e se
ne scrive e tutti sanno che l’albero c’è e se cade rappresenta
un grosso guaio per l’umanità. Si potrebbe definire la vendetta
dell’albero ignorato. Un bel titolo. Forse un segnale per informarci che
dobbiamo stare attenti alla natura. Dipende dall’ambiente tutto quello
che accade all’umanità in termini di qualità della vita.
Immaginiamo una collina con tante eliche che producono energia. Immaginiamo
che in tutti questi anni oltre alla moltiplicazione delle fonti di energia pulita
e rinnovabile (vento, acqua, sole, biomasse) si fossero moltiplicati gli alberi
sulle sponde dei fiumi e le radici che impediscono alla terra di franare. Ma
non è così. Si è rimasti inerti ad attendere non si sa
che cosa. Ora qualcuno rivendica il diritto di costruire centrali nucleari.
Come se non ci fosse stato un referendum che nel passato ha dimostrato la volontà
degli italiani di abolire questo tipo di energia. Come se i dossier sulle conseguenze
dei danni alle persone, ai bambini, all’ambiente creati sulle rive del
Garigliano non esistessero ancora oggi a distanza di decenni dalla chiusura
della centrale atomica. Anche qui speriamo che tutto ciò che ignoriamo
o fingiamo di non conoscere non si vendichi di noi, come l’albero che
cadendo ci ha dato momenti d’angoscia. Speriamo di non dover leggere e
scrivere ancora di malformazioni di animali, persone, prodotti ittici e pomodori.
Speriamo di non dover essere costretti ad emigrare in altri pianeti quando l’aria
diventa irrespirabile, perché tutti vogliamo accedere alle comodità
basate sulle risorse energetiche inquinanti. La cappa asfissiante tra noi e
il cielo ci porta a cercare refrigerio nelle case dove frigoriferi e climatizzatori
ci illudono che ci sia scampo alla rovina. Dimentichiamo che l’aria filtrata
del condizionatore è prodotta dai giacimenti di petrolio che attraverso
i consumi danno origine all’effetto serra. Non valutiamo che quando tutti
gli altri abitatori del pianeta, per esempio i cinesi, vorranno stare comodi
come noi dovremo smettere di illuderci che la terra sia ancora così generosa
da dare tutto a tutti. Ma questo rammenta il titolo di un altro film: La Cina
è vicina.
W. M.