L’INVIDIA DEL PREMIER

Nuovi studi antropologici nel panorama politico

Siamo tutti invidiosi. Dopo una scazzottata verbale con un fruttivendolo che considera invidiose le persone che non apprezzano Berlusconi, ho letto qualche giorno fa, le dichiarazioni rilasciate dal nostro primo ministro allo “Spectator”, quotidiano inglese, che confermavano le teorie dell’ortolano.
Alla domanda del giornalista anglosassone rivolta a sapere come mai riceve così forti critiche dalla stampa italiana ed internazionale Berlusconi ha risposto affermando che il “Financial Times” ha scambiato le guardie con i ladri, ed ha aggiunto, per ciò che riguarda i grandi giornalisti italiani, che si tratta in definitiva solo di semplice e pura invidia. Ha poi citato Montanelli e Biagi i quali secondo il premier si sono accorti, ad un certo punto della loro esistenza, di un capovolgimento nel loro rapporto personale col Cavaliere. Hanno cioè capito che Berlusconi li aveva superati nella hit parade degli uomini di prestigio e masticando amaro per l’invidia avrebbero iniziato ad attaccarlo. In realtà, afferma il primo ministro, questi ed altri giornalisti vorrebbero soltanto essere al suo posto e non potendolo fare lo denigrano. Insomma come la volpe e l’uva di Fedro, “nondum matura est”. Disprezziamo ciò che è troppo in alto per noi. Pari alla teoria dell’ortolano, che pur gentile nello scegliere con impegno un melone dolcissimo da vendermi, ha poi notato, poco distante dal suo banco di frutta, il nostro tavolo referendario contro l’immunità delle cinque alte cariche dello Stato, e ha preso ad asserire con veemenza che non siamo tutti uguali; che è inutile illudersi, “loro” devono avere i privilegi perché stanno in alto e noi che invece stiamo in basso dobbiamo accettare questo stato di cose senza agitarci perché come “loro” non ci possiamo diventare.
Insomma il fruttivendolo ha semplicisticamente diviso le categorie umane in due: quelli che stanno in alto e che possono, e quelli che stanno in basso e che non possono. Berlusconi invece, che di fantasia ne ha di più, ha creato almeno quattro classi sociali: la categoria di Berlusconi che sta sopra a tutto e tutti, quella dei giornalisti invidiosi che lo attaccano, quella dei comunisti, e quella dei magistrati che oltre ad essere disturbati mentalmente apparterrebbero, secondo lui, ad una specie umana antropologicamente diversa.
Tali dichiarazioni sono state fatte sempre in occasione dell’intervista rilasciata allo “Spectator” che ne ha divulgato in un secondo tempo gli scarti, cioé i brani eliminati, forse per rilasciare a piccole dosi le smaniose attestazioni del primo ministro. Dichiarazioni che avevano incluso, nell’analisi antropologica, anche una repentina rivalutazione della figura del duce che ha destato scalpore.
Tra tutto mi appare particolarmente peregrina l’idea che giornalisti del calibro di Biagi e Montanelli sarebbero invidiosi di Berlusconi. Sappiamo di certo che Indro Montanelli manteneva una tale equidistanza dalla politica e dalle istituzioni da poter scrivere in piena libertà contro chiunque lo meritasse. Ricordiamo anche che per ben due volte ha rifiutato la carica di senatore a vita.
Non c’è molto da aggiungere quando le parole sono astratte, non confortate da prove. I fatti danno ragione nel tempo a chi c’è l’ha e Indro Montanelli aveva descritto molti anni fa una puntuale previsione di come si sarebbe comportato Berlusconi una volta al governo. Suggerì, in quell’occasione, di avere la pazienza di attendere il suo autosbriciolarsi e la crescita degli anticorpi negli italiani che prima lo avrebbero eletto e poi lo avrebbero rigettato. Ogni cosa a suo tempo. Quando si tratta di storie che non hanno attinenza con la realtà non c’è da scagliare inutili fendenti contro l’aria. A che serve rispondere regolarmente a mezzo stampa alle immaginarie costruzioni di Berlusconi? Si va a camminare sul percorso da lui costruito, si recita nei ruoli che lui crea. Non sarebbe meglio tacere? Non sarebbe più utile concedere alle agenzie scarni comunicati senza rispondere alle sue provocazioni? Ignorare insomma la commedia che trasmette al solo scopo di far dimenticare ai cittadini le faccende in cui è implicato e il cattivo andamento dell’economia italiana.
Quanto all’invidia, si può averne per Berlusconi? Esclusi Montanelli e Biagi può esistere una categoria di invidiosi di Silvio Berlusconi? Non so. Ognuno ha valori e limiti personali. L’invidia è un sentimento complicato. Chi ne soffre in maniera costante è un perdente che invece di misurarsi con le prove che la vita gli pone spreca il suo tempo soffrendo. Poca è l’autostima di queste persone. Inesistente in loro il desiderio di incontrare un mito con lo scopo di uscirne migliori. E i miti, per lo più non sono nella politica. Il campo dove meglio si esprime l’ingegno umano non è tra chi ci governa oggi ieri o ci governerà domani. Si può ammirare l’autore di musiche solenni come quelle di Mozart o invidiare l’arguzia di un drammaturgo come Goldoni. Ci si può sentire piccoli e insignificanti scoprendo i dipinti di Caravaggio o gli affreschi della cappella Sistina. Lo stesso Raffaello Sanzio subì un violento contraccolpo al suo orgoglio quando scoprì di nascosto, durante l’assenza di Michelangelo da Roma, il grandioso lavoro che questi stava svolgendo nella cappella chiusa a chiave. Ne fu invidioso? Forse sì. Ma ne fu così colpito da modificare da quel giorno il suo stile e da rappresentare, nei suoi dipinti, volute o inconsce citazioni michelangiolesche. Non a caso nacque il manierismo, ossia l’imitazione dei modelli realizzati da Michelangelo e Raffaello. Ci si lascia affascinare dal mito per migliorare se stessi non per precipitare verso il basso. Si impara da chi esprime genio e originalità. Da chi rappresenta l’esistente sollecitando in noi ricordi, fantasie, atmosfere. In ogni campo è possibile essere grandi. C’è un luogo bellissimo descritto da un cantautore che ogni volta stupisce. Ci fa dire. “E’ vero, mi ricordo” rammentando le folle in attesa di Bartali. La visione di noi bambini eccitati, mentre la gente sul ciglio della strada attende l’uomo dal naso triste come una salita e gli occhi allegri da italiano in gita. Un’era in cui si sta seduti sui paracarri sorseggiando gelati al limone. Oppure d’inverno quando “Fuori piove un mondo freddo” si osserva chiudere la capote di una Topolino amaranto. Un posto in cui gli avversari sono sempre i francesi. I quali con la loro grandeur finalmente s’incazzano quando la bicicletta di Bartali li supera e sono invidiosi, come noi lo siamo di non saper suonare come Astor Piazzolla o di non essere lì sul ciglio della strada con lui il mito, quello che corre sulla bicicletta o l’altro che resta lì e che “aspetta Bartali scapitando sui suoi sandali”, e ci fa sentire il desiderio di esserci a segnare la differenza tra la poesia e la banalità, anche nelle piccole azioni, che dividono gli esseri umani in due categorie: quelli che guardano verso il basso e quelli che guardano verso l’alto.

Giusy Contini