IL TRENO CHE VIENE DAL SUD

Cosa cambia nel futuro dei nostri ragazzi, fino a che punto possiamo indirizzare le loro scelte?

Non porta soltanto Marie. Il treno che va su in alta Italia porta donne e uomini in cerca di lavoro. Si diceva così un tempo: alta o bassa Italia, il continente o l’isola. Adesso si va verso il nord carichi di bagagli e di nuove speranze. Nuovi emigranti, per lo più ragazzi, si dirigono verso il Veneto o la Lombardia, verso quel nord che a pronunciarlo come Bossi con la lettera “o” prolungata e la “r” arrotata con devozione, incute timori e non promette nulla di buono a chi si misura con un linguaggio diverso. Sono però contenti anche i leghisti di questa nuova ondata. Piuttosto che agli stranieri, si aprono le braccia ai meridionali, i “terrun” che adesso sono meno assuefatti alla terra e molto più abituati alle scrivanie ed ai libri. La media ha, infatti, livelli di istruzione medio alti.
Così questo mare che non bagna Napoli, questa terra che respinge i suoi figli, permette di ampliare gli orizzonti e offre una possibilità di costruirsi pezzo su pezzo, un avvenire. Il mare di Annamaria Ortese non ha cambiato apparenza. E la generosità ingegnosa dei cittadini di alcune città del sud è stata inversamente proporzionale all’avarizia della terra d’origine.
Noi che amiamo il sud, perché lo conosciamo, vi abbiamo vissuto e sperato con tutte le nostre forze di migliorarlo, dobbiamo ora accettare la fuga dei ragazzi, così come al nostro tempo siamo fuggiti noi stessi credendo che a distanza di vent’anni le cose sarebbero cambiate.
Rammento lunghe file di persone in attesa di un colloquio per un impiego. Che differenza c’è tra allora ed adesso? I curricola si presentano magari via Internet evitando di stare per qualche ora in coda; ma il lavoro era persino migliore nella formula “a tempo indeterminato”, quando riuscivi a trovarlo in quel tempo. O almeno i patti erano chiari. I ruoli netti: il padrone e lo sfruttato, l’artigiano e il garzone di bottega che restava tale per anni e poteva essere mandato via in qualsiasi momento non garbasse più all’imprenditore. Gli attuali contratti a termine, invece vanno di sei mesi in sei mesi, e al terzo ciclo può succedere che l’impresario, non ottenendo più i contributi per la formazione, offra al giovane ormai “formato” di restare, a sua scelta con la formula “lavoro nero”. A Napoli accade questo ed altro. E non solo lì. Così i ragazzi se ne vanno. Privati del mare scoprono l’acqua del lago di Garda, le case, le opportunità delle terre venete. Oppure si accorgono che a Milano non fa freddo.
Negli ultimi quattro anni 290 mila giovani hanno preso il treno per il nord. Provenienti dalla Campania, La Puglia, la Sicilia, la Basilicata. Ma è soprattutto la Calabria a detenere il record con un 4,90 % di abbandono della terra d’origine (dati Svimez).
Certamente non mancano i problemi. Primo fra tutti la casa. Gli affitti troppo alti che portano via metà dello stipendio, la lontananza dagli affetti. Esiste una volontà di superare questi problemi. Alcuni imprenditori offrono la casa insieme al lavoro. Un comune in provincia di Forlì sta per predisporre un piano regolatore con edilizia abitativa per i lavoratori, chiedendo ai costruttori di lasciare alcuni alloggi in nuovi edifici da usare allo scopo. Intelligente l’intenzione degli amministratori di Longiano di non creare ghetti, utile l’aiuto per chi intende pagare un affitto adeguato allo stipendio in cambio di una casa dignitosa. La questione da affrontare è anche il basso livello delle retribuzioni in Italia rispetto a quelle di altri paesi europei. Da noi si compra pochino con le monete che ci ritroviamo nel portafoglio. Siamo a nostra volta il sud d’Europa. La tendenza a partire potrebbe portare gli italiani verso le capitali europee dove si guadagna di più. Sociologi ed economisti lo presentano come un fatto negativo. Gli euro hanno dato ulteriore batosta alla crisi economica. La gente non compra e il denaro non gira. Chissà perché. “Senza soldi non si canta messa” si diceva una volta. Che sia necessario, per aumentare i consumi, che alla gente avanzi qualcosa dopo aver pagato le bollette?
Con questo flusso immigratorio da sud a nord, sembra che il meridione d’Italia diventerà sempre più povero, privo di capannoni industriali, fabbriche, manodopera; quindi di persone che consumano e arricchiscono il paese. Ma chi ha detto che la ricchezza del sud è nella costruzione di nuove fabbriche? Si cominci a ridare l’acqua a Napoli, il mare pulito cioé, le spiagge nettate da rifiuti. E la speranza. Si produca turismo. Si punti sui gioielli di famiglia: la cultura, il panorama, i reperti storici e archeologici. Non ho visto la trasformazione della zona di Bagnoli dove c’era l’Ilva. Se n’è scritto tanto. Dovrebbe diventare una nuova Miami. Palmizi, sabbie dorate, piscine, hotel e tanti turisti. Lavoro per tutti. Gente che va e gente che viene: visite ai musei, passaggi di traghetti verso i Faraglioni di Capri, o sulla funivia per il Vesuvio. Un bagno nelle vasche naturali della regina Giovanna sulla costiera amalfitana, un concerto al San Carlo, un’occasione per indossare la camicia fatta su misura, o una cravatta del famoso Marinella.
Napoli è piccola, non ha bisogno di molto mare. Purché sia pulito. Le perle costiere sono a un tiro di schioppo come anche le testimonianze archeologiche di Pompei e di Ercolano. Il buon cibo, l’allegria, lo spettacolo cui ti capita di assistere ad ogni angolo di strada, sono valori aggiunti. Basta uscire di casa. Non t’annoi. Succede sempre qualcosa. Si parla molto. Si commenta. Nascono sketch spontanei, battibecchi si trasformano in farse. Il senso dell’umorismo, l’intelligenza arguta muta in ironia anche i disappunti, in esibizione i piccoli litigi.
E la pizza. La pizza di Michele a Forcella. Centenaria bottega che fa solo margherite. Le migliori del mondo. Tricolori con il verde del basilico ammorbidito dall’olio extravergine. Certi rituali non devono cambiare. L’artigianato, le piccole botteghe, la ristorazione. Possono essere incentivati e migliorati i servizi alla persona, la guida ai percorsi storici e turistici, la manutenzione delle aree verdi, l’intrattenimento musicale, il teatro dialettale. Tutto questo ed altro. Senza capannoni. Senza fumi industriali.
A Reggio Emilia il Comune offre stage aziendali per imparare un mestiere durante l’ultimo anno delle scuole medie. Gli studenti un po’ svogliati possono essere introdotti gradualmente nel mondo del lavoro, svolgendo un percorso formativo teorico e pratico presso aziende artigiane: sartorie, pasticcerie, parrucchieri. Perché lo stage abbia inizio è necessario che i genitori degli studenti si rivolgano agli operatori sociali del comune, oppure che gli insegnanti segnalino i ragazzi un po’ refrattari allo studio. A questo punto si offre loro l’alternativa studio-lavoro con un percorso scolastico personalizzato. Un importate dato statistico è quello sulla scelta finale dello studente. Il 50% in genere resta a fare l’artigiano, mentre l’altra metà prosegue gli studi.
E’ difficile decidere per gli altri. Bisogna dare le opportunità a tutti. Anche di essere svogliati per un certo tempo e poi avere il tempo di maturare per rivalutare il valore della cultura. Per evitare di sbagliare nel dividere le persone in serie di prima o seconda scelta. Per trasmettere, a chi decide di imparare un mestiere, che ha scelto liberamente e che il suo compito è vitale proprio perché preferito tra altre possibilità. Andrebbe riletto ogni tanto il libro “Lettera a una professoressa” degli alunni della scuola di Barbiana nel Mugello.
“Ai miei poi la maestra aveva detto che non sprecassero soldi: « Mandatelo nel campo. Non è adatto per studiare », scrive un ragazzo che poi è diventato insegnante. E aggiunge nella lettera alla professoressa:
“C’è una materia che non avete nemmeno nel programma: arte dello scrivere. Basta vedere i giudizi che scrivete sui temi. Ne ho qui una piccola raccolta. Sono constatazioni, non strumenti di lavoro. «Infantile. Puerile. Dimostra immaturità. Insufficiente. Banale». Che gli serve al ragazzo di saperlo?Manderà a scuola il nonno, è più maturo. Oppure: «Contenuto scarso. Concetto modesto. Idee scialbe. Manca la reale partecipazione a ciò che scrivi». Allora era sbagliato il tema, non dovevate neanche chiedergli di scrivere. Oppure: «Cerca di migliorare la forma. Forma scorretta. Stentato. Non chiaro. Non costruito bene. Varie improprietà. Cerca di essere più semplice. Il periodare è contorto. L’espressione non è sempre felice. Devi controllare di più il tuo modo di esprimere le idee».
Non glie l’avete mai insegnato, non credete nemmeno che si possa insegnare, non accettate regole oggettive, siete fissati nell’individualismo ottocentesco. Finché si arriva alla creatura toccata dagli dei: «Spontaneo. Le idee non ti mancano. Lavoro con idee proprie che denotano una certa personalità». Ormai che ci siete metteteci anche «Beata la mamma che t’ha partorito».

W.M.