Le nuove frontiere professionali (e non) del mestiere che fu di Matilde Serao e Luigi Barzini: dal reporter “di strada” all’inviato speciale che trasmette dalle suite degli hotel
La
professione di giornalista ha una connotazione etica o sopravvive senza riferimenti
morali? Le regole deontologiche resistono o prevalgono le influenze del mercato?
Il rapporto Censis 2003 sulla comunicazione trasmette informazioni che fanno
pensare, associando i modi in cui i mass media rappresentano la realtà
agli stessi metodi usati in pubblicità. E se lo spot pubblicitario fa
nascere nel consumatore nuovi bisogni, allo stesso modo la realtà presentata
dai mezzi di comunicazione è costruita e falsa. Appare in sostanza, come
un cumulo di luoghi comuni che possono far comodo a chi lo stesso messaggio
trasmette per conto di mandanti politici o economici.
Si diffondono
stereotipi che falsano la verità. Diventa difficile mantenere le regole
che prevedono libertà e obiettività in chi fa il mestiere del
giornalista. Di quale giornalismo si tratta è importante stabilirlo:
chi regge le fila della trasmissione di notizie, a chi si rapportano gli addetti
ai lavori, cosa alla gente è dato di sapere? Sono tutte domande, a partire
dalle quali si può analizzare la qualità dell’offerta.
E’
nato da poco il giornalismo sociale; che non ha regole scritte. Sorto sul campo
da dieci anni a questa parte. E’un tipo di informazione che si prevede
sia autonoma e finalizzata a dare notizie compiendo un lavoro utile per la collettività.
Nato con l’ambizione di far conoscere la vita degli individui e dei gruppi
in maniera realistica. Ben sapendo a priori quanto sia compito arduo “spiegare”
l’esistenza di popoli con i mezzi del giornalismo.
Risulta spesso che in reportage e servizi i fatti reali stanno in secondo piano
perché influisce su questi la cultura, l’opinione di chi scrive.
I fatti non sono mai dati nudi e crudi, c’è altro. C’è
sempre la componente emotiva, la sovraesposizione dei dettagli, la descrizione
colorita degli umori, la rappresentazione del dolore, la ricerca esasperata
dell’aspetto clamoroso. E in questa parte aggiunta s’inserisce l’interpretazione
di chi scrive, offuscando la verità. Succede così che le circostanze
appaiano più importanti dei fatti, il linguaggio e l’interesse
a dare un risultato coinvolgente, vanno oltre la storia.
La narrativa o il cinema, come altre arti interpretative, permettono di interporre,
tra realtà rappresentata e il destinatario, il nostro mondo emotivo e
le tecniche utili a dare valore aggiunto fino a creare una realtà “altra”
da quella in origine osservata.
Per promuovere
forme di diffusione giornalistica più coerenti e offrire una risposta
a questo stato di cose è nato il giornalismo sociale. Un tipo di giornalismo,
scritto spesso da chi è parte della realtà rappresentata. Ne sono
esempio i mensili Terre di mezzo, Scarp’de tennis, o il giornale on line
di Franco Bomprezzi, Superabile.it. Quest’ultimo, purtroppo stroncato
poco tempo dopo l’uscita del primo numero, per motivi che sarebbe utile
indagare, è stato diretto in modo ammirabile da un giornalista disabile,
che con rara intelligenza ha ideato questo ed altre iniziative culturali e sociali.
Il lavoro del giornalista ha un altro fattore di critica, è passato ad
essere non più il mestieraccio, che solo i più ardimentosi riuscivano
a praticare. Non prevede più lunghe gavette, durante le quali i ragazzi
ancora in calzoni corti iniziavano la carriera imparando a produrre articoli,
spiando i trucchi
del mestiere dai colleghi più anziani, andando per le strade, facendo
amicizia con i balordi o con chiunque potesse fornir loro notizie.
Oggi è la pigrizia il peccato meno perdonabile del mestiere di giornalista.
Nessuno controlla più l’esattezza della fonte. Punto fondamentale
al quale il buon giornalista non poteva un tempo rinunciare. Si mandano in stampa
notizie copiaticce o servizi tv ritagliati da altri e già trasmessi.
Gli inviati speciali, anche nostri, sono ammirati spesso perché si trovano
in zona di guerra, fino a quando non scopriamo che stanno comodamente seduti
in una stanza di hotel da dove riportano le notizie dei pochi giornalisti veri
che stanno tra i guerriglieri o nel luogo dei bombardamenti.
Rammentiamo Peter Arnett, che durante la guerra contro l’Iraq del ’91
restò sul luogo dei bombardamenti nonostante gli Stati Uniti per far
andar via tutti i giornalisti dichiararono che non avrebbero protetto nessuno
di loro. Ogni sera si collegava con il solito saluto: ”Qui CNN vi parla
Peter Arnett…”
Nessuno pretende che un giornalista metta in pericolo la propria vita, ma perché
invece di far finta di essere inviati questi pantofolai non fanno risparmiare
la testata e si mettono in una stanza di una casa qualsiasi in Italia, riprendendo
e commentando le notizie della CNN?
La parola
pigrizia dovrebbe essere abolita dal vocabolario di un vero giornalista e insieme
a questa l’altra, ancora peggiore, il cinismo. Un libro del grande reporter
polacco Ryszrd Kapuscinsky si intitola “Il cinico non è adatto
a fare questo mestiere”. Contiene una serie di lezioni tenute, qualche
anno fa, nella comunità di Capodarco, alle quali altri due prestigiosi
giornalisti parteciparono in qualità di docenti: Oriana Fallaci e Tiziano
Terzani, inviato speciale, quest’ultimo, in Russia e in Asia. In quell’occasione
fu coniata una frase ormai famosa: “I fatti sono un velo dietro il quale
la verità si nasconde”.
Emerge la
difficoltà ad essere obiettivi. La verità di certo ha molte facce.
L’importante è raccontare i fatti senza stravolgerli, nel giornalismo
di qualsiasi genere. La visione etica della professione prevede il rispetto
delle regole deontologiche, anche non scritte. Tra cui quella di allontanare
da sé il virus del cinismo.
La sensibilità verso le persone colpite dagli eventi, non sfocia necessariamente
nella spettacolarizzazione di emozioni e sentimenti.
R.S.