I metodi tipici della politica, spesso oscuri per le donne, causano moduli comportamentali singolari e imprevedibili
In
quest’Italia in cui dilaga la precarietà, e l’incertezza,
dove la “sindrome della terza settimana” affligge gran parte dei
lavoratori. Questa nostra Italia delle promesse e delle scommesse. Promesse
non mantenute e scommesse perdute. Dove gli appelli si sprecano.
Uno dei più disperati slogan è quello di Berlusconi dell’ultima
ora: “Il centro-destra taglia le tasse il centrosinistra le aumenta”.
Pochi ormai credono a questi conigli che escono dal cilindro in periodo pre-elettorale,
perché la precarietà si vede negli occhi, negli atteggiamenti
rassegnati dei giovani, delle donne. Chi credete sia in maggiore difficoltà
tra i giovani e le donne? Forse le giovani donne?
Probabilmente sì perché rientrano in due categorie disagiate.
Tra i record negativi che abbiamo in Italia c’è il più basso
quoziente di occupazione femminile rispetto all’Europa. Oltre a quello,
vergognoso, della presenza di donne nelle istituzioni inferiore in percentuale
di alcuni paesi africani, come ormai tutti sanno.
In questa
modernità “liquida” definita così da Baumen, perché
tutto è mutevole, niente è garantito, e quelle poche certezze
che avevamo si sono perse. In questa società di domande senza risposte,
le incertezze maggiori sono del mondo femminile.
Diventano così di moda le liste rosa. Le Dichiarazioni di uomini politici
sono quotidiane, su pagine di stampa, su lanci d’agenzia. Persino un partito
di donne. Tante candidature. C’è la legge. Quella della Prestigiacomo,
ministro per le pari opportunità, l’altra di Cinzia Dato, senatrice
della Margherita firmataria del ddl Dato-Amato, che protesta per l’ennesimo
slittamento della discussione sul suo disegno di legge in Senato.
Siamo lontane. Molto lontane dalle pari opportunità. Nascono dubbi e
domande.
Si può affermare che qualcuno abbia colpa? Quanto dipende dalle donne
la possibilità di realizzare una vera parità di genere nella politica?
Le “quote” considerate come riserve indiane ci aiutano o ci danneggiano?
Potremmo chiedere agli indiani d’America: “Avreste preferito essere
annientati o restare confinati?” Certo qualcuno potrà rispondere
che piuttosto di vivere entro confini delimitati e controllati avrebbe preferito
morire. Ma le donne amano vivere anche in cattività. Poi magari sognano
stagioni vittoriose. Si adattano le donne, e attendono. Nell’abito bianco
e nero del panda, attendono. Ingrassano fino ad assomigliare il più possibile
all’orso protetto, e pensano a come uscire dalla zona chiusa.
Non tutte agiscono però alla stessa maniera. Facciamo qualche esempio.
Tra varie categorie.
Per prima
esaminiamo Rosa. Rosa è giovane, sui venticinque anni, ha capacità
organizzative, volontà costruttiva. Crede che questo basti ad operare.
Si attiva. Procede, avanza. Vede davanti a sé una strada libera. S’inoltra
nel mondo della politica fino a quando improvvisamente va a urtare contro qualcosa
che sembrava non ci fosse. E’ il famoso muro di vetro. Rosa ci sbatte
contro la faccia e torna indietro. Non l’aveva visto, ma c’é.
I misogini che lo hanno eretto sono pronti a giurare che non esiste, ma il muro
c’é. E produce danni.
Che fare, dove rivolgersi, come superare un muro che non si vede?
Questi sono i dubbi di Rosa.
Vogliamo
esaminare che cosa fa Anna?
Anna è più metodica di Rosa. Si attrezza. Studia l’habitat.
E’ una persona che con precisione certosina programma tutte le azioni.
Valuta ogni probabilità positiva o negativa. Progetta un percorso politico.
Procede con fiducia. Anna è una vincente abituale. Capace di sacrifici,
rinunce, Anna sa cosa vuole e come ottenerlo. Ha vinto ogni concorso al quale
ha partecipato. Ha preso diversi brevetti. Di nuoto, di guida per le imbarcazioni
a vela. E’ una sportiva. La passione per la politica le fa credere che
lì in quel mondo dove apparentemente tutti affermano di possedere ideali,
di lottare per il bene altrui, per un mondo migliore, una società più
giusta, ci sia molto da fare. Crede che basti attenersi alle regole per procedere
verso un percorso costruttivo, gratificante di esperienza personale nella crescita
del mondo politico al quale ha scelto di appartenere. Insomma Anna pensa in
positivo.
Prosegue, o almeno crede di farlo, fino a quando s’accorge dell’ostacolo
imprevisto. All’improvviso un muro di gomma le si para davanti e la fa
rimbalzare lontano.
Il metodo,
il merito, la tenacia, non servono a molto. Cerca di scovare le famose azioni
positive declamate nei discorsi e contenute in decine di autorevoli testi. Non
è dato di sapere dove siano queste famose azioni per l’equilibrio
della rappresentanza.
Anna s’accorge che fare politica non è come vincere un concorso
dello Stato, neppure è come prendere trenta e lode ad un esame. E’
tutto più complesso. Difficile. Macchinoso, spesso distorto. La cosa
peggiore è che non si conoscono le regole per procedere. Tutti fingono
di saperle, ma non ci sono. O se ci sono restano poco trasparenti, fondate su
rapporti di forza. Incentrate sull’accaparramento del potere. Sulla denigrazione
gratuita dei possibili rivali. Talvolta sul ricatto.
Queste sono le valutazioni di Anna
Poi ci sono
altre donne che credono di aver trovato la soluzione.
Queste osservano i comportamenti maschilisti, imparano il peggio dei loro metodi,
e talvolta, per eccesso di zelo, aggiungono astuzie, scorrettezze, aggressività,
inciuci. Il peggio di tutto.
Queste poverette credono che è così che si fa la politica. Imparando
i peggiori comportamenti maschili e maschilisti. Per fortuna sono poche..
Il loro ragionamento ha una logica. Pensano: ho dovuto imparare a fare simbolicamente
a cazzotti, ho dovuto imparare trucchi, intortamenti (divisioni di torte). Ho
fatto un training autogeno per autosuggestionarmi e convincermi di avere gli
attributi. E le altre donne che vogliono? Per caso intendono avanzare solo applicandosi
onestamente? Non basta. Bisogna dimostrare di avere le “scatole”.
O fingere di averle. La misura della forza, secondo questa categoria di persone
di sesso femminile è tutta nella capacità di dimostrare aggressività.
Con metodi maschilisti elevati all’ennesima potenza.
Tutto questo
produce una quarta categoria di donne. Quelle che fuggono.
E poi una quinta categoria. Fatta di tante persone che si chiamano Rosa oppure
Anna, o Francesca, le quali piuttosto che arrendersi creano un luogo delle pari
opportunità.
Hanno rivolto a se stesse la domanda che all’inizio abbiamo fatto all’indiano
d’America. “Preferisci essere annientato o accetti di restare nella
riserva?”
Sono rimaste nella riserva. Per adesso.
W.M.