LA SPERANZA DI WOJTYLA

Le lezioni del comunicare di Giovanni Paolo in contrasto con i rozzi metodi di giornalisti impazienti di avviare la giostra funebre

di Wanda Montanelli

Il Papa indomabile, dietro alla finestra fino all’ultimo soffio di vita. Ce lo ricorderemo a lungo così forte e tenero. E’ rimasto nel cuore di molti il moto di stizza per non essere riuscito a compiere un’ulteriore gesto di benedizione verso la folla in piazza San Pietro, e poi la conseguente espressione di dolore.
Tutto questo mentre la stampa e le tv si mostravano impazienti di esporre i “coccodrilli” pronti da troppo tempo nei cassetti delle redazioni. Sappiamo che è un modo per non farsi trovare impreparati quello scrivere pagine interminabili e sbobinare filmati di repertorio da montare per il giorno della fine. Il lavoro si prepara per tempo, anni, mesi, giorni, prima dell’evento doloroso.
Sempre più spesso però si valica il limite del decoro e del buon gusto. Attendersi pietas e cautela, compassione e partecipazione può essere chiedere troppo, ma un livello minimo di rispetto per un ammalato che si avvia a lasciare il mondo terreno credo che lo si debba pretendere. Sarebbe troppo forse chiedere di comportarsi come al cospetto di un Papa, o di un personaggio storico che nasce una volta ogni centinaia d’anni; sarebbe eccessivo pretendere da taluni giornalisti di ricordarsi quante persone hanno come punto di riferimento la figura carismatica del capo della chiesa di Roma e i suoi insegnamenti. Ma almeno poteva bastare trattare Karol Wojtyla come un proprio padre per evitare il cinismo degli editoriali di sabato mattina che lo davano già per morto quando lui, il Papa, morto non era.
Perché di nostro padre o nostra madre non avremmo mai detto o scritto “è morto” una notte e un giorno prima della dipartita. Invece la mattina di sabato decine di articoli, per il timore di lasciarsi sfuggire il primato, davano una notizia falsa e irriguardosa, decretando la fine di un uomo ancora vivo e lucido, seppure nel letto di sofferenza.
Cosa avranno provato gli autori degli articoli accorgendosi che sabato il Papa era vivo? Disappunto, stupore o vergogna?
E che tipo di pensieri avranno avuto i due inviati di un Tg che in diretta dal Principato di Monaco già una settimana fa raccontavano con dovizia di particolari che a distanza di otto giorni si sarebbero svolti i funerali del vecchio principe ammalato. Avrebbero meritato sì o no di essere sbattuti fuori dai confini delle Stato dai figli di Ranieri?
Ho ascoltato le loro parole insieme ad alcuni amici che seguivano con me il telegiornale, e tutti ci siamo guardati in faccia meravigliati, chiedendo all’unisono: “E’ morto?” .
Invece Ranieri di Monaco, ancora resiste, alla faccia degli iettatori del tubo catodico.
Esistono dei limiti al diritto di informare e sono necessari dei freni alla morbosa sovraesposizione delle persone in condizione di sofferenza e impotenza. Terry, trasmessa decine di volte nella condanna a morire di fame e sete è stata resa oggetto d’attenzioni che travalicavano l’interesse verso le questioni degli umani diritti di vivere o morire. E’ divenuta uno spettacolo mediatico che per tutto il tempo in cui è durata la sua agonia, certo crudele, ha permesso che notizie scomode dal campo di guerra irachena passassero in secondo piano.
La desolata metodologia di questo tipo d’informazione contrasta fortemente con il potere gestuale e di linguaggio di Papa Wojtyla. Un capo carismatico che ha saputo essere uomo e Papa nello stesso tempo, quindi tenero e affettuoso con i deboli, forte e duro con i potenti. Qualcosa è cambiato da quel lontano 1978, quando affacciato alla finestra, dopo la sua elezione ha pronunciato: “Se mi sbaglio mi corrigerete!”.
Così ci siamo accorti che un papa può avere un forte senso dell’umorismo.
Il suo tralasciare la perfezione della pronuncia, il suo rapportarsi al livello umano dei semplici è ciò che ha conquistato il cuore della gente.
Ha saputo dire ad ognuno ciò che ognuno si meritava. Parole carezzevoli e sorrisi per bambini e ammalati. Anatemi per i prepotenti della terra. Senza timori.
E’ di una forza eccezionale l’ammonimento rivolto alla mafia quando anni fa, in terra di Sicilia, ha pronunciato “Convertitevi!” rivolta ai mafiosi assassini, ed ha spiegato loro che sarebbero trovati un giorno ad essere giudicati “al cospetto di Dio”.
Credo che fino a quel momento nessuno mai le avesse cantate così chiare agli uomini di Cosa nostra, che magari potevano credere, tra un delitto e l’altro, di potersi andare a confessare e pretendere dal prete l’assoluzione.
E’ vero che poi ci sono state ritorsioni come l’ordigno esplosivo alla basilica di San Giovanni a Roma, però un cambiamento il Papa coraggioso lo ha stabilito. Un vento nuovo ha iniziato a soffiare nell’isola oltre lo stretto, e l’omertà dei siciliani ha cominciato a vacillare.
Questo un esempio dei mutamenti causati dal papa polacco. Alcuni entro i confini d’Italia, altri di rilevanza epocale come la caduta del muro di Berlino, il perdono chiesto agli ebrei o la riabilitazione di Galileo Galilei.
Giovanni Paolo II, ha creduto in un mondo migliore. Ha trasmesso la speranza ai giovani. Li ha conquistati con il suo linguaggio diretto e la forza di opporsi alle divisioni tra razze e religioni, alle guerre, alla violenza.
La forza del suo modo d'esprimersi è nella sincerità e nel coraggio; quello di osservare lontano e di perseguire nel suo progetto di vita terrena ed eterna senza fare sconti a nessuno, neanche a se stesso.