ZAPATERO: VIA DALL’IRAQ
I
missili Tomahawk e le bombe non ci hanno liberato dal terrorismo.
L’opinione degli spagnoli e del loro nuovo leader
“A casa!”
Le Truppe spagnole via dall’Iraq.
Una fuga? L’estrema riprova della potenza del braccio oscuro di un terrorismo
estremamente ramificato?
Madrid, 17 Marzo: intervenendo ad “Onda Cero”, Zapatero alza il
tiro affermando la sua decisione “chiara e ferma” di ritirare
le truppe spagnole dall’Iraq, replicando così al presidente Usa
Gorge W. Bush, il quale aveva assicurato che sono gli stessi iracheni a richiedere
che le truppe straniere restino.
Zapatero, il leader socialista salito in vetta all’alba della più
grande tragedia europea inscenata dai misteriosi teatranti del terrore, appare
fermo e risoluto nella sua scelta, quasi a non lasciar nessuna porta aperta
a inconsistenti dialettiche del dietrofront: il 30 Giugno prossimo, qualora
il controllo dei centri di potere iracheni non sia passato nelle mani delle
Nazioni Unite, i soldati spagnoli torneranno a casa. Pronto a spiegare agli
alleati, e in particolare agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, il suo punto
di vista, Zapatero ha esposto la sua posizione già espressa durante
la campagna elettorale: “Combattere il terrorismo con le bombe e i missili
Tomahawk non è la strada per vincere, ma quella per provocare maggiore
estremismo. Il terrorismo si combatte con lo stato di diritto, il rispetto
della legislazione internazionale e con i servizi di intelligence”.
Il leader socialista, ha affermato poi che Aznar si è prodotto in una
decisione unilaterale nel “disprezzo e nella non considerazione dell'opinione
dei cittadini”. Parole che sembrano avere il dono di un nuovo corso.
Per questo ci si chiede: cos’è che avrebbero voluto gli spagnoli?
Pur se, com’ è ovvio, gli elettori iberici, scossi dall’orrore
del sangue dell’undici marzo, hanno sconfessato, di fatto, la politica
filo-americana dell’ex Aznar, non ci si stupirebbe se tale affermazione
d’autorità di Zapatero portasse al riaffiorare del disgusto generale
per gli sviluppi di una guerra di “ricerche” mai effettuate per
intero e per i troppi morti in terra irachena.
La disapprovazione va ben oltre i milioni di persone riunite in strada a gridare
la propria avversione al terrorismo. E’molto più generalizzata
nella spinta ad una pace legale, e al diritto finalmente situato al centro
della scena, al posto delle incursioni, della violenza e delle avventate manifestazioni
di potenza.
Se quella in Iraq era una guerra di liberazione, se l’arresto di Saddam
Hussein aveva in sé davvero il simbolo di un rinsavimento generale
e, ancora, se questo diabolico attacco alla Spagna (come al contingente italiano
a Nassirya) è un’ ulteriore dimostrazione di aumento esponenziale
della vendetta militar-terroristica c’è da chiedersi dove stiamo
andando.
Questa
violenza senza precedenti nella storia, è in qualunque momento in grado
di aprire ferite sanguinolente nei fulcri vitali di interi paesi (New York
undici settembre 2001, Madrid 11 Marzo 2004) al cui verificarsi le pur ferme
opzioni al pacifismo paiono come atti di accettazione di un potere oscuro
che fa paura. C’è davvero da chiedersi quale sia la strada da
intraprendere. Ma, si presume, dati i risultati, che non sia quella in cui
finora molti si sono avviati, spinti da un vento di globale devozione forzata
all’impegno guerrafondaio.
Se un tempo
eravamo tutti americani, ora dunque, siamo tutti spagnoli. Ovvietà
che derivano da una logica. Ci è stata data una visione delle cose,
il giorno dopo l’attacco alle Twin Towers, per cui, allora come poi,
si “doveva” intervenire, combattere, rispondere, replicare. E’
chiaro, un delitto non deve restare impunito. Ma qual è il modo giusto
per far pagare il conto a chi di questi eccidi dell’umanità è
responsabile? Si è arrivati, qualche tempo fa, a supporre di un arresto
di Osama Bin Laden congelato, in vista delle elezioni. Allora, se questo è
vero, quali sono state le ragioni degli attacchi? E quali quelle delle stragi
terroristiche? C’è un filo conduttore?
Non è dato sapere, ad oggi, quale sia la traiettoria di fondo che ha
spinto il futuro capo del governo spagnolo Josè Luis Zapatero a controbattere
con la fermezza confortata dalla compatta opinione pubblica affranta.
Forse è bene pensare che è dalle ceneri di un orrore che nasce
la forza (perché è forza e non timore) di un “no”
ad un sistema di cruenta competizione bellica, per vedere chi, alla fine,
vince.
Ben venga, se alle parole seguiranno i fatti, questa prima inversione di tendenza
in ragione di una legalità e di un pacifismo che non siano più,
come tuttora sono, temporanei e apparenti.
Chiunque
veda in Zapatero il simbolo di un crollo di nervi ed in Aznar, l’esempio
di una fermezza che non si piega all’orrore nel continuum di un’apparente
normalità di una vita che va avanti (perfino le partite di calcio,
come anche quell’undici settembre, si sono svolte regolarmente), forse,
non tiene conto di cosa pensa la gente stanca di questo mondo brutale.
Zapatero
è nella posizione di chi ha l’autorità di far tornare
a casa i soldati non già perché tremante di fronte ad alla smisurata
virulenza che ha fatto vibrare l’Europa, ma per riaffermare quei concetti
di legittimità e di pace che solo sottraendosi al vizio delle repliche
estreme all’estremismo possono avere un senso.
Lavorando uniti per la tutela delle leggi internazionali e dei diritti di
chi ha il dovere concreto di decidere le sorti di un paese al di là
delle bombe, delle ripicche e delle dimostrazioni di forza sempre più
gravose, si può trovare soluzione all’imbarbarimento.
Zapatero ci ha creduto e vi ha dato inizio, perché è così
che la gente ha voluto.
Daniele silvestri