Percentuali di presenza femminile intorno all8% nelle istituzioni e nella politica ci pongono agli ultimi posti della graduatoria europea e mondiale
di Gioia Montella e Wanda Montanelli
Il
cuore della politica batte al maschile.
La presenza delle donne è scarsa non solo nella politica italiana ma
anche all'interno delle istituzioni comunitarie.
Nella Convenzione europea le donne sono 16 su 105 membri titolari, mentre nella
commissione europea la componente femminile si attesta al 25%: su 20 componenti
solo 5 sono donne. Per quanto riguarda il Parlamento europeo su 626 componenti
196 sono donne e la presenza femminile si attesta dunque al 31%.
La realtà presenta però caratteristiche diverse da paese a paese:
Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Germania hanno percentuali comprese
tra il 42% e il 31%. Seguono Spagna, Austria, Belgio che rappresentano invece
percentuali comprese tra il 28% e il 23%. In Portogallo, Regno Unito, Irlanda
si hanno invece percentuali comprese tra il 18,7% e il 12%. Infine in Francia,
Italia e Grecia la percentuale scende ed e' compresa tra il 10% e l'8%.
La presenza delle donne nei governi nazionali degli stati membri è mediamente
del 28,6%. Ancora una volta sono i Paesi del nord Europa a registrare le percentuali
più alte di partecipazione femminile con dati che oscillano tra il 58%
e il 35%.
Seguono Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Austria e Lussemburgo, con percentuali
tra il 35% e il 29%. Nell'ultimo gruppo, costituito da Irlanda, Spagna, Belgio
Italia Portogallo e Grecia, la presenza femminile varia dal 19% dell'Irlanda
al 12% della Grecia. In tutti i casi, eccetto Finlandia e Italia, vi è
stato un aumento della presenza femminile nelle istituzioni nel corso degli
anni
Chi frena le donne? Le stesse donne che non votano al femminile, o sono i meccanismi
messi in atto dalla società maschilista a fermarle?
La politica femminile significherebbe forse un mondo di solidarietà e
di pace?
Esprimerebbe forse l’arte di governare la cosa pubblica in nome di un
unico sovrano, cioè il popolo, usando quel potere che “logora chi
non ce l’ha”, allo scopo di realizzare gli interessi della comunità?
La storia ci testimonia come la donna ha sempre percorso due direzioni. La ricerca
di libertà e pace e la lotta alle discriminazioni.
Allora perché non riesce a farsi strada in politica?
La donna è passata nel corso dei secoli da forti discriminazioni all’affermazione
dei propri diritti, soprattutto dal femminismo degli anni ’70 in poi.
Così nel settore dell’industria, dello sport, dell’arte,
della scienza, ha raggiunto una grande visibilità. Ma per la donna italiana
la visibilità acquisita in tali campi, dove non ha delegato nessuno se
non se stessa, non è speculare a quella politica, sia perché l’uomo
ha la via spianata da secoli in questo settore e non si è preoccupato
di operare nel senso del coinvolgimento femminile. Anzi.
Sicuramente il retaggio familiare di stampo rurale e patriarcale ha determinato
l’assuefazione ad un ruolo subalterno. E se a questo aggiungiamo l’esclusione
dal voto fino all’indomani della seconda guerra mondiale, si può
comprendere che il tempo trascorso nell’ignorare le cose della politica
ha giocato un ruolo negativo per ciò che riguarda la possibilità
di raggiungere un discreto livello di conoscenza e di interesse.
Le donne sono rimaste indietro. In Italia, nel sud dell’Europa, ma anche
in molte parti del mondo, dove le varie Thacher, Golda Meir e Indira Gandhi
restano ancora delle eccezioni in un quadro politico di sostanziale stabilità
maschile.
Per raggiungere gli obiettivi di pari opportunità non bastano le leggi
o le modifiche all’articolo 51 della Costituzione, ma occorre un progetto
sulle donne di tipo socio culturale. E’ necessario che l’uguaglianza
dei sessi venga insegnata fin dall’età scolare, attraverso il trinomio
Educazione-Cultura-Scuola. Infine è fondamentale che la donna italiana
si spiani la via dell’approdo alla politica delegando se stessa alla rappresentatività,
anche attraverso il consenso trasversale delle diverse posizioni politiche per
quanto possibile, altrimenti “l’empowerment” come il “mainstreaming”
(direttiva Prodi del 1997) rischiano di restare sulla carta.