BENIGNI, TRA AMORE E GUERRA

Il comico toscano, nel suo nuovo film “La tigre e la neve”, documenta come l’amore possa esistere, e trionfare nonostante i massacri bellici.

“Nessun massacro previene altri massacri”; con queste parole, l’attore e regista Roberto Benigni, a margine di un incontro-presentazione del suo prossimo film “La tigre e la neve”, ha fatto centro su quella che è la più grande controversia dei nostri tempi, ovvero la valutazione della guerra come elemento di salvaguardia da altre tragedie dolenti, come ferite non rimarginate; e lo fa nelle stesse ore in cui, nel Mondo, il giubilo sale alla diffusione della notizia, ufficiale, della liberazione delle due Simone. Risultato che, chiaramente, consente un sentimento di esultanza al famoso “piccolo diavolo” del piccolo schermo, per quella che è, inequivocabilmente, una vittoria della pace.
Benigni, dopo i clamorosi successi de “La vita è bella”, pellicola che gli valse l’oscar ed una fama a livello globale, e dopo la favola di “Pinocchio”, ritorna a girare, nel doppio ruolo di regista ed interprete, in “La tigre e la neve”: una storia di guerra, ma soprattutto d'amore, un’opera che promette di divenire una nuovo decisivo tassello dell’intera carriera dell’artista toscano, e che traccia la profonda linea dell’amore come fattore portante della vita, contrapposto alla crudezza della guerra (che sarà il costante sfondo di tutta la trama), per la quale l’artista toscano ha parole essenziali e significative: “Nessun massacro previene altri massacri, un concetto semplice ma di difficile applicazione perché, purtroppo, la cosa che più piace agli uomini sembra essere la guerra”.
Il suo film, presumibilmente in uscita tra Ottobre e Dicembre 2005, sembra presentarsi fin da ora come una fotografia di un’altra via, di un’altra bellezza: quella dell’amore, e dell’armonia, capaci di “vincere” la guerra, dal set, alla vita. “E’ proprio in momenti terribili come quelli che si vivono in Iraq o si sono vissuti a Beslan, che la parte più profonda di noi viene toccata. Sono momenti che cambiano i nostri sogni e, per una reazione istintiva, apriamo le ali mentre precipitiamo e cominciamo a volare”. Questo il pensiero del comico, impegnato a Roma con i primi ciak, per poi sbarcare in Tunisia, dove verrà ricostruita minuziosamente la realtà irachena, il vero principale luogo in cui il film è ambientato, con accanto una guerra “insensata, che ha sconvolto i nostri tempi”.
Messaggi chiari, quelli di Benigni: “E’ un film sul presente – dice - in cui non c’è distacco visto che parlo del presente. Ma il distacco, non l’ho provato neppure quando ho affrontato il tema dell' Olocausto ne La Vita è bella”, precisa.
Immancabile un riferimento alla liberazione delle “Simone”. “Le due ragazze che si toglievano il velo: era una grande immagine cinematografica e musicale. Quando una delle due Simone ha chiesto all’altra di levarsi il velo ho pensato che mi sarebbe piaciuto rifare quella scena al cinema. E’ un velo che arriva fino al firmamento. Un’immagine bellissima che finalmente ci hanno regalato dopo questa immensa tragedia”.
E’ un fiume in piena, Benigni: “Ci sono guerre di cui sono contento. Sono contento che abbiano fermato Hitler e Napoleone. Questa guerra però è diversa, anche se la nostra generazione dovrebbe avere il Nobel della Pace perché è la prima che è stata educata contro la guerra”.
Il suo ultimo sforzo artistico si appresta ad essere un affresco di grande impatto, impreziosito da una sorta di drammaticità concreta, in cui niente è velato, con ricostruzioni limpide di una guerra in cui appaiono tutti (dagli americani agli italiani, passando per gli inviati della Croce Rossa) i protagonisti della realtà del conflitto “vero”. E non mancheranno loro, gli arabi. “Un popolo a cui appartiene il cielo stellato”, ha detto Benigni.
Per l’attore, la rappresentazione cinematografica dell’atrocità della guerra contribuisce a far sì che la tragedia non vinca su ogni altra cosa. “Il cinema è la vita”, secondo Benigni, e permette di ”far andare avanti il potente spettacolo della vita. Come contribuiva mio padre che la mattina vedeva se le zucchine del suo orto andavano bene – ha poi aggiunto - io dò il mio facendo cinema”.
Ne “La tigre e la neve” (in cui recita anche l’attore francese Jean Reno, nel ruolo del “più grande poeta arabo vivente”) Benigni ci parla di Attilio, un poeta “che riesce a far nascere la vita da qualsiasi sasso”, capitato in Iraq per puro caso. E’ innamorato di Vittoria, interpretata dall’inseparabile Nicoletta Braschi, che tuttavia non lo corrisponde. “Non sono mai stato innamorato della Braschi come in questo film, anche se lei non ne vuole sapere del mio amore. Ma è la donna dei miei sogni. E mai penserei a un film in cui Nicoletta mi viene dietro e io la respingo”, ha tenuto a precisare.
Attilio, finito in Iraq all’inizio del conflitto, completamente a digiuno di arabo, finirà, smarrito, a combattere una guerra tutta sua, in una realtà non sua; ma con un’unica arma, la poesia; ardente fiamma entro la quale arde e risorge, come l’arcobaleno dopo la tempesta, la fenice dell’amore, l’unico sentimento che, forse, non conosce distinzione di razza, religione, ricchezza e cultura.
E nel lasciar trasparire questo, Benigni, è davvero un maestro.

Daniele Silvestri