DIOSSINA A TARANTO
L'ecologista
e saggia donna Beatrice Bardelli mi ha appena segnalato un articolo odierno
del Corriere on line. Prendo lo spunto da questa storia d'inquinamento da
diossina di Taranto, per evidenziare quel che dovrebbe essere ovvio, cioè
che il benessere della società industriale e consumista non è
altro che malessere sociale psicofisico. Continuiamo a produrre cose inutili
con il solo vantaggio di avere più inquinamento ed una inferiore qualità
della vita. Se persino un giornale come il Corriere on line si preoccupa di
questo tema allora
vuol proprio dire che siamo al "redde rationem".
Vorrei aggiungere che l'emergenza inquinamento ambientale in Italia è
tutt'altro che limitata al sud, infatti ricordo ai lettori che nel Lazio esiste
il polo energetico più grande d'Europa, con le centali policombustibili
di Montalto e Civitavecchia, ed ora anche a carbone (Valdaliga Nord) e malgrado
il tasso di polluzione stia mettendo a rischio ogni attività agricola
e turistica (la zona è ricca di reperti archeologici e dedita da tempo
immemorabile all'allevamento ed agricoltura) il governo Berlusconi ha già
previsto a tempi brevi (senza che il comune di Montalto, la provincia di Viterbo
o la Regione Lazio possano opporvisi) anche la riattivazione della centrale
nucleare di Montalto di Castro mai smantellata malgrado il referendum che
sanciva il no al nucleare dell'Italia. E mentre la Germania e l'Inghilterra
e persino la Francia si stanno attrezzando a chiudere le loro centrali atomiche
ed a sviluppare la produzione energetica alternativa, l'Italia non trova di
meglio da fare (malgrado questo sia definito "il Paese do sole..."
che rendersi ancora più deturpata e monca con il ritorno al nucleare....
Tutto ciò mentre i politici "impegnati" si occupano di affari
d'immagine, spettacoli, canzonette, posti e poltrone, aumenti di stipendio,
corresponsione milionarie per dubbi servizi, etc. Povera Italia!
Grazie per la lettura e per aver pazientato sin qui... ma forse sarebbe ora
di non pazientare oltre...
Paolo
D'Arpini
www.circolovegetarianocalcata.it
----------------------
Segue articolo su Taranto
http://www.corriere.it
Trascrizione:
Le nuove cifre dell'Ines: qui si produce il 92% del «veleno» italiano.
Gli ambientalisti contro l'Ilva che si difende: siamo in regola. A 13 anni
ha il tumore da fumo. «E' la diossina» Il medico: mai visto un
caso così. Industrie, Taranto città più inquinata dell'Europa
occidentale.
Tre mamme con il latte contaminato, cinque adulti con il livello più
alto del mondo, 1.200 pecore da abbattere
DAL
NOSTRO INVIATO
TARANTO --- Tre anni fa, S. aveva 10 anni. E senza aver mai fumato una sigaretta
in vita sua era già conciato come un fumatore incallito. Un caso simile,
Patrizio Mazza, primario di ematologia all'ospedale «Moscati»
di Taranto, non l'aveva mai visto. E nemmeno la letteratura medica internazionale
lo contempla. Anche a cercare su Internet, la risposta è negativa:
« No items found ». Per questo, Mazza temeva di avere sbagliato
diagnosi. Invece no. Quel bimbo aveva proprio un cancro da fumatore: adenocarcinoma
del rinofaringe. Come tanti altri tarantini, specie quelli del Tamburi, «il
quartiere dei morti viventi».
A Bruxelles
forse ancora non lo sanno, ma Taranto è la città più
inquinata d'Italia e dell'Europa occidentale per i veleni delle industrie.
L'inquinamento di Taranto, infatti, è di fonte civile solo per il 7%.
Tutto il resto, il 93%, è di origine industriale. A Taranto, ognuno
dei duecentomila abitanti, ogni anno, respira 2,7 tonnellate di ossido di
carbonio e 57,7 tonnellate di anidride carbonica. Gli ultimi dati stimati
dall'Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) sono spietati.
Taranto è come la cinese Linfen, chiamata «Toxic Linfen»,
e la romena Copsa Miça, le più inquinate del mondo per le emissioni
industriali.
Ma a Taranto
c'è qualcosa di più subdolo. A Taranto c'è la diossina.
Qui si produce il 92% della diossina italiana e l'8,8% di quella europea.
«In dieci anni --- dice Mazza --- leucemie, mielomi e linfomi sono aumentati
del 30-40%. La diossina danneggia il Dna e un caso come quello di S. è
un codice rosso sicuramente collegato alla presenza di diossina. Se nei genitori
c'è un danno genotossico non è in loro che quel danno emerge,
ma nei figli».
Tre mamme
il cui latte risulta contaminato dalla diossina, cinque adulti che scoprono
di avere il livello di contaminazione da diossina più alto del mondo,
1.200 pecore e capre di cui la Regione Puglia ordina l'abbattimento, forti
sospetti di contaminazione nel raggio di 10 chilometri dal polo industriale
(con i monitoraggi sospesi perché sempre «positivi ») sono,
più che un allarme, una emergenza nazionale. La diossina si accumula
nel tempo e a Taranto ce n'è per 9 chili, il triplo di Seveso (la città
contaminata nel 1976). Ma sono sette le sostanze cancerogene e teratogene
che, con la diossina, colpiscono Taranto come sette piaghe bibliche.
Mentre
però a Bruxelles e a Roma (e a Bari, sede della Regione) si discute,
Taranto viene espugnata dalla diossina. Basta dare un'occhiata, oltre che
ai dati Ines, ai limiti di emissione, il cuore del problema.
Il limite europeo è di 0,4 nanogrammi per metro cubo. Quello italiano,
di 100 nanogrammi. «Un vestito su misura per l'Ilva di Emilio Riva»,
dicono le associazioni ambientaliste. «Siamo in regola e abbiamo anche
investito 450 milioni di euro per migliorare gli impianti», replica
l'Ilva, che l'anno scorso ha realizzato utili per 878 milioni, 182 milioni
in più dell'anno prima e il doppio del 2005.
L'Europa
però è dal 1996 che ha fissato il limite di 0,4 nanogrammi.
L'Inghilterra, per esempio, si è adeguata. E la Germania ha fatto ancora
meglio: 0,1 nanogrammi, lo stesso limite previsto per gli inceneritori.
Nel 2006,
Ilva e Regione Puglia hanno anche firmato un protocollo d'intesa, ma con scarsi
risultati. La «campagna di ambientalizzazione» procede a rilento
e sembra che l'Ilva intenda concluderla nel 2014, proprio quando scadrà
il Protocollo di Aarhus, recepito anche dall'Italia, che impone ai Paesi membri
di adottare le migliori tecnologie per portare le emissioni a 0,4-0,2 nanogrammi.
Eppure
a Servola, Trieste, acciaierie «Lucchini», per risolvere il problema
è bastato un decreto del dirigente regionale Ambiente e Lavori pubblici,
che ha imposto al siderurgico, pena la chiusura, di rispettare i limiti europei.
In due anni, grazie anche alle pressioni della confinante Austria, il miracolo:
dalla maglia nera, in tandem con Taranto, Servola è diventata un centro
di eccellenza, con la diossina abbattuta fino al teutonico limite di 0,1 nanogrammi.
Certo,
con una legge regionale, o con un decreto come quello friulano, si eviterebbe
anche il referendum sull'Ilva, giudicato ammissibile dal Tar di Lecce e sicura
fonte di drammatiche spaccature fra i 13 mila dipendenti del siderurgico.
Invece c'è soltanto una delibera del consiglio comunale di Taranto
che chiede timidamente alla Regione «di fare come in Friuli».
Ma la Puglia non confina con l'Austria. Al di là del mare, c'è
l'Albania.
Carlo Vulpio