L'EOLICO
di Paolo D'Arpini
Da
quando mi sono espresso sfavorevolmente all'installazione di impianti eolici
di grossa portata nella Tuscia ho ricevuto appunti e critiche anche da alcuni
amici (in particolare Peter Boom, un olandese che mi ha fatto presente come
in Olanda stiano risolvendo il problema energetico proprio con l'eolico),
essi mi dicono che se non utilizziamo le fonti energetivhe rinnovabili continueremo
ad andare avanti con il petrolio, o peggio con il carbone ed il nucleare.
A voce
spiego che l'eolico "pesante", con grandi e numerosi piloni concentrati
in aree vergini del territorio, è assolutamente non ecologico perché
rovina il paesaggio e richiede una serie di strutture di appoggio che fanno
degradare le aree prescelte. Sento però la necessità di precisare
-a questo punto- quali sono i modi ed iluoghi idonei per l'utilizzo dell'eolico.
Tanto per cominciare è necessario smetterla con la produzione elettrica
superflua, bisogna decentrare e non fare grossi impianti, inoltre bisogna
mettere i piloni eolici nei pressi delle aree industriali dove occorre l'approvvigionamento
energetico. E' ridicolo creare dei grandi parchi eolici in zone verdi per
poi convogliare l'energia così prodotta, tramite centraline ed elettrodotti,
alle fabbriche. Questo è un sistema assurdo che comporta una grande
dispersione di elettricità. Per non rovinare le aree di pregio ambientale
è meglio istallare i piloni lungo le autostrade, ad esempio, od in
altri ambiti già dedicati a strutture di servizio, in cui l'impatto
visivo non è fastidioso.
La cosa
più importante è comunque spingere per la produzione energetica
locale, da fonti rinnovabili, evitando la produzione energetica concentrata.
Consideriamo poi l'alternativa della produzione elettrica con impianti di
biogas, recuperando così i liquami delle metropoli, le deiezioni degli
allevamenti, gli scarti organici, etc.
Se Roma
usasse i suoi rifiuti organici per la produzione elettrica questa basterebbe
a far funzionare l'intera città. Il problema di dover mantenere le
centrali di Civitavecchia e Montalto di Castro scomparirebbe d'incanto.
Attualmente
a Torre Valdaliga nord (Civitavecchia) è stata fatta la riconversione
di una parte della centrale al cosiddetto "carbone pulito". Questo
secondo alcuni amministratori è un passo necessario per l’abbassamento
del tasso d’inquinamento ma i fatti stanno clamorosamente smentendo
questa diceria ed oggi c'è una forte protesta sul territorio per via
delle ricadute ambientali, sulla salute, sull'agricoltura, etc.
E qui debbo
dire che capisco perfettamente i comitati spontanei che si oppongono al carbone,
infatti le popolazioni si vedono inquinare (senza vantaggi di ritorno) per
scelte non loro. Capirei allo stesso modo le proteste degli abitanti dell’arco
alpino che vivono a ridosso delle centrali nucleari Francesi.
"Ma
per qualsiasi soluzione energetica -così si lamentano i furbi amministratori-
c'è sempre qualcuno che protesta, sia che si tratti di nucleare, carbone,
eolico, etc."
In realtà
è proprio nel dimensionamento degli impianti che sorgono i problemi,
è nella grandezza delle centrali e nella concentrazione produttiva
che si crea inquinamento su un territorio. Da qui si arguisce che occorre
tornare alla produzione energetica parcellizzata, utilizzando le varie fonti
presenti localmente, per soddisfare le esigenze di ogni singolo comune, provincia
o regione. Non servono, e sono nocivi, grossi impianti come Civitavecchia
e Montalto di Castro, che assieme fanno il polo energetico più grande
d'Europa. Ma le "grandi opere" piacciono sia ai politicanti che
agli imprenditori (talvolta di malaffare).
Vorrei
continuare questo discorso riprendendo l'analisi del percorso della produzione
energetica in Italia, che già feci in passato. Noi compriamo energia
elettrica dalla Francia ma le loro centrali sono ai confini con l’Italia
(che è un paese denuclearizzato). Queste incongruenze della povera
Italia hanno una storia lunga dietro…. La storia inizia con il "boom"
economico del dopoguerra, con la creazione dell’Eni e con la scomparsa
(uccisione?) di Mattei il suo presidente battagliero che si era messo in testa
di rendere il nostro paese "autonomo" dal punto di vista energetico.
L’autonomia dello Stivale non è mai piaciuta alle Grandi Potenze,
l’Italia poteva anche sviluppare una sua economia industriale purché
restasse succube e ricattabile. Vedi ad esempio, una cosa che può sembrare
banale, la sostituzione della canapa (che per legge fu proibita in seguito
al trattato di pace con gli USA) per poter introdurre il nylon e le fibre
sintetiche.
Ma andiamo
per ordine. Il nostro Paese sino alla fine degli agli anni ‘50 ed in
parte ‘60 del secolo scorso ricavava la massima parte di energia elettrica
per mezzo di centraline idroelettriche poste lungo i fiumi che scorrono nel
mezzo di tutte le città italiane (infatti le città una volta
nascevano proprio lungo i fiumi per ovvia ragione approvvigionativa). Ricordo
ad esempio che quando abitavo a Verona andavo spesso a passeggiare in periferia
e sulla diga che sbarrava l’Adige e da cui si ricavava l’energia
per tutta la città.
Sino ad
un certo punto questa produzione energetica localizzata funzionò, il
problema di ampliarne la quantità venne solo con l’avvento del
modello consumista, per produrre utensileria perlopiù di plastica,
quali: suppellettili, mobili, giocattoli, stoviglie, etc. Da quel momento
l’Italia si piegò al sistema della produzione elettrica concentrandola
in grossi impianti che funzionavano (e funzionano) ad olio combustibile. Sappiamo
quali erano gli interessi delle case produttrici del petrolio e così
andò a finire che diventammo sempre più schiavi di scelte economico-politiche
"atlantiche" che non erano per nulla negli interessi nazionali.
Poi ci provammo con il nucleare, anche questo non per nostro interesse, ma
fu abbandonato in seguito ad un referendum nazionale. Ci abbiamo infine riprovato
con il metano ma anche questo (lungi dalla ricerca di fonti nostrane) arriva
da paesi che possono chiuderci i rubinetti -Russia ed Algeria- anche perché
le condotte italiane sono "terminali" ovvero non "transitano"
sul nostro territorio nazionale ma finiscono qui…
Torniamo
ora a parlare di come si potrebbe risolvere il problema energetico nella penisola.
Dicono che il "carbone" sia meno inquinante del petrolio ma anch’esso
viene importato come il metano, il petrolio e come lo sarebbe l’uranio,
se si volesse tornare al nucleare. Di cosa è ricca l’Italia?
Per antonomasia canora si dice "chisto è ‘o paese do sole.."
quindi si potrebbe ricorrere al solare, ma attualmente i pannelli solari anch’essi
inquinano, soprattutto nella fase produttiva del silicio necessario al loro
funzionamento, occorre perciò sviluppare la sperimentazione e la ricerca
sui pannelli solari per allungarne la capacità di raccolta e la durata
(che oggi arriva a circa vent’anni).
Ciò
non sarebbe però sufficiente -nell'immediato- per soddisfare le esigenze
della grande industria del futile. Si potrebbero allora realizzare impianti
ad idrogeno, in effetti i motori ad idrogeno esistono da anni (basti pensare
ai razzi che vanno a questo propellente) e tra l’altro la scissione
dell’acqua in idrogeno ed ossigeno sarebbe facilmente ottenuta con pannelli
solari, ma l’idrogeno non piace ai potentati economici che campano sul
petrolio. Si potrebbe ricorrere all’eolico diffuso, come sopra spiegato,
oppure alla geotermia e persino ai famigerati "termovalorizzatori"
ma anche questi inquinano (la cosa da ridere è che inviamo la plastica
differenziata delle nostre immondizie in Germania, pagando per lo smaltimento,
e poi la Germania con essa ci produce corrente elettrica che rivende all’Italia….
e noi paghiamo 2 volte….).
Resta la
soluzione più logica ed economica, oltre al piccolo eolico ed al solare
ove possibile, e cioè la riconversione dei rifiuti organici e dei liquami
in biogas, un ciclo concluso. Ad esempio in molti paesi dell’Asia nei
villaggi si produce elettricità dal gas ottenuto con la cacca degli
umani e degli animali. Insomma tutte queste opzioni potrebbero andar bene…
l’importante -per ora- sarebbe diversificare al massimo e cercare di
rendere la produzione energetica il più possibile "autonoma"
e quindi non soggetta a ricatti esterni. Ma per far questo serve una chiara
volontà e coraggio politico e soprattutto un reale decentramento produttivo.
In conclusione:
riempire la Tuscia di nuovi impianti, che siano essi sostenibili od insostenibili,
risulterebbe in un suo uleriore asservimento alle esigenze metropolitane,
che prevedono l'impoverimento e la distruzione del territorio per consentire
il mantenimento della pigrizia amministrativa e della cecità ecologica.
La Tuscia non può continuare ad essere la pattumiera di Roma e luogo
d'ubicazione per scomodi servizi.
Paolo
D'Arpini
www.circolovegetarianocalcata.it