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FRANCESCO FA BENE ALL'ITALIA

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.1.  Francesco in affitto

I capelli ricci e neri le coprono e scaldano le spalle. Il manto corvino si aggiunge al leggero abito invernale e le dà tepore. E' una bella ragazza, un tipo mediterraneo. Occhi nerissimi. Sorride soddisfatta per aver concluso il nostro contratto d'affitto. La signora Massara, proprietaria delle mura è anche lei di ottimo umore: secondo i patti non mi paga, le ho trovato degli inquilini che sembrano perbene, tutte ragazze della segreteria del partito, che vuole di più?

"E Rutelli? - chiede - davvero la casa è anche per lui?" .

"Sì"- risponde la ragazza, porgendomi l'assegno col mio milione di provvigione - Francesco verrà a a vivere qui".

Stacco una ricevuta e mi chiedo come faranno ad abitare in questa specie di bomboniera piena di pizzi, oggetti barocchi, densa di cose e di mobili. Sono tre stanze. Un soggiorno, due camere da letto, più cucina e bagno al quinto piano di un palazzo in via Malatesta, zona Casilina. Il tutto compreso in sessantacinque metri quadrati. Un milione al mese d'affitto.

Dubito che Rutelli vivrà con loro. Credo che se lo siano inventato.

Le referenze non le avevano e allora hanno detto che il coordinatore del "Sole che ride" verrà a vivere qui. "Sa, paga il partito, sono soldi sicuri". Cosa che ho ripetuto alla padrona di casa "Sa, paga il partito, sono soldi sicuri". E lei contenta ha accettato di affittargli la casa. Affitto transitorio, un anno rinnovabile. Metto l'assegno in borsetta e saluto.

Chiudo nella cartella di finta pelle il cartello "affittasi".

"Torno in agenzia", dico per congedarmi.

"Dove ce l'ha?" chiede la mia cliente che mi ha contattata per un annuncio su Portaportese.

"Ad Ostia Antica - rispondo - Ho un' ufficio in casa mia". Poi rido e le mostro la borsa portadocumenti. "In realtà - aggiungo - è tutta qui la mia agenzia - ed  estraggo il contenuto della borsa: un cartello VENDESI un altro AFFITTASI, un timbro, un blocco per le ricevute e un'agenda."

"Beata lei", mi dice.

"Beata perché mi porto appresso l'agenzia immobiliare?" chiedo.

"No, perché abita ad Ostia Antica".

"Facciamo cambio?- suggerisco - Lei viene ad Ostia Antica, fa l'agente immobiliare, io mi occupo di ecologia e politica, che mi piace di più". Ride. Ride anche la padrona di casa che è lì con sua sorella; grande di età, forse ultracinquantenne e approva la mia proposta.

"Pure io farei un cambio - dice - verrei ad abitare qui con Rutelli e alla signorina darei la mia casa, e pure... mio marito!". Rido io più di tutte. Mi piace il clima di complicità che si è creato. Io ho circa 40 anni. Siamo tutte donne. Diverse per età e mentalità.

"Mi piace Rutelli - ci informa la signora Massara - E a lei?" - mi chiede. "

"Non saprei - dico - Non lo conosco. Si dà da fare per l'ambiente e questo me lo fa sicuramente apprezzare. Per il resto non è il tipo d'uomo che mi può interessare".

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Marzo 2001

Stamattina Rita è in radio a parlare di donne. Fa parte della Commissione Parità a Palazzo Chigi. Ieri sera avevo già sentito al telefono le cose che adesso dice in trasmissione. C'è un gran parlare di politica al femminile in questi tempi.  Rutelli qualche giorno fa ha dichiarato che il suo governo avrà un numero altissimo di donne, superiore di gran lunga a quanto si è visto fino ad oggi. C'è da chiedersi se Rutelli sia o no femminista. Non credo. Anche perché non credo che possano esistere uomini "femministi";  piuttosto immagino che abbia un buon rapporto col genere femminile. Ha sempre avuto tante donne intorno, sin da piccolo. Le sorelle, le zie,  e soprattutto la madre, una persona che dicono sia stata dolce,  e che lui ha amato e curato personalmente fino all'ultimo giorno della sua esistenza.

Al comune di Roma, da Sindaco, ha dato dimostrazione di aver fiducia nelle capacità delle donne alle quali ha affidato assessorati e incarichi.

"Il problema è - mi spiegava ieri Rita- che occorre superare lo scoglio delle candidature". I collegi blindati, quelli sicuri, sono tutti attribuiti agli uomini, e tra noi forse un posto sicuro lo prende Carla Mazzuca, che peraltro è in gamba ed è stata a capo della Commissione Infanzia. La Magistrelli nelle Marche, in Toscana la Nesca... Non c'è altro di sicuro per le donne. O almeno c'è poco di più.

Le ho suggerito di andare a parlare con Parisi per conoscere meglio cosa possono offrirle. Pare però che il presidente non abbia molto da offrire né a lei, né ad altre candidate donne. Forse la candidatura nuda e cruda. Arrangiarsi.

Dai Democratici è così, in altri schieramenti è lo stesso o peggio ancora.

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Farci del male non è indispensabile

Il primo incontro diretto e ravvicinato con Rutelli avviene circa dieci anni dopo l'episodio dell'appartamento in affitto. Non sono più un'agente immobiliare. Mi avvicino, nel mio lungo percorso di vita, ai miei obiettivi: lavorare per ciò che mi piace. Mi occupo di politica. A via del Corso 262 c'è la sede dell'  "Italia dei Valori" di Antonio Di Pietro. Un Movimento bene organizzato. Un CED attrezzatissimo, molte stanze dove si attivano i responsabili di vari Dipartimenti. La segreteria, l'ufficio di Willer Bordon, quello di Di Pietro con annessa cameretta in stile rustico; salette d'attesa, angoli per il break coffee, tanta gente che va e viene, e si impegna lavorando con entusiasmo.

Collaboro con il dipartimento Pari Opportunità dell' "Italia dei Valori" di Antonio Di Pietro. Mi occupo di Comunicazione. Conosco Rita Capponi. Il settore femminile in via del Corso lo ha organizzato lei. Mi vede e subito mi invita ad una riunione di donne impegnate in politica, soprattutto parlamentari e giornaliste, presso la sala della Sacrestia di Palazzo Valdina, un edificio esterno alla Camera dei deputati in piazza Anco Marzio n. 42.

E' un'assemblea trasversale di donne che comunque fanno parte della Coalizione dell'Ulivo. C'è l'onorevole Serafini, il ministro della sanità Rosy Bindi, Rosa Russo Iervolino, la deputata DS veneta Luisa Di Biagio Calimani, e tante altre autorevoli donne. Discutono sul titolo da dare a un comunicato stampa rivolto a Prodi. Un invito a lui e a tutti gli uomini dell'Ulivo. Un appello urgente. In sostanza si chiede agli uomini della Coalizione di smetterla con le polemiche e con le lotte intestine che tanto disorientano gli elettori.

Interviene Anna Serafini "Facciamo un comunicato stampa firmato da tutte le donne. Noi con la nostra capacità di affrontare unitariamente i problemi possiamo essere di esempio e riuscire a smorzare la litigiosità degli uomini (...) . Ho dubbi sul titolo del comunicato stampa".

Dalla seconda fila qualcuno suggerisce" Potrebbe andar bene 'Basta con le polemiche!'?

Rosi Bindi non è d'accordo. Dice che un titolo così sarebbe controproducente. "Perché - dice- ammettere che ci sono polemiche tra gli uomini dell' Ulivo significherebbe confermare le tesi della Destra e dare spazio ai loro attacchi".

"Presidente Prodi,ascolta le donne!". E' il titolo suggerito da un'altra parlamentare. "Maggiore coerenza nell'Ulivo" dice un'altra ancora. E così per molto tempo si susseguono interventi e suggerimenti di titoli che sempre qualcuno boccia per un motivo o per l'altro.

Fa caldo e sono stanca. Mi alzo con l'intenzione di andare a prendere un caffè presso un bar che è all'interno di palazzo Valdina. Esco dalla sala. Mi trovo all'aperto, nel porticato. Ammiro la bellezza artistica dell' edificio. Mi dirigo verso l'angolo dove prima ho visto attraverso la vetrina alcuni avventori consumare cappuccini e brioche. All'ingresso mi impediscono di entrare. Mostro il "passi" ma spiegano che non sono una parlamentare e mi è vietato l'ingresso. Dico ai miei due interlocutori, un ragazzo ed una barista, che intendo pagare il caffè, che non ho mai pensato di averlo gratis. Niente; non mi fanno entrare.

"E un bar per i comuni mortali dov'è? ", chiedo.

Gentili mi spiegano che dovrei uscire, attraversare la piazza, trovarmi sul corso, camminare un po'...

"Va, bene. Grazie lo stesso! ". Li interrompo e faccio dietrofront.

Torno incazzata nella sala della Sacrestia. Il caldo è soffocante. Mi gusto la fine dell'intervento di Rosina. Così la chiamano tutte. E' il ministro Rosa Russo Iervolino. Antipatica fino al giorno prima. Deliziosa adesso. Di una semplicità e di una affabilità mai viste. C'é un break e tutte le donne escono nel chiostro a respirare aria fresca. Rosa Iervolino è circondata da amiche. Discutono ancora sulla scarsa rappresentatività femminile in Parlamento. Rita Capponi, che qui rappresenta le donne dell'Italia dei Valori, mi coinvolge nella discussione. Dopo un po' rientriamo in sala. La Iervolino se ne va. Ciao Rosina, la salutano tutte. Lei giustificandosi spiega che non si trattiene perché ha un impegno istituzionale.

"Ciao Rita, ciao Wanda!"

"Ciao Rosina" dico pure io.

La sera a casa scherzo con i miei due figli "Mi sono fatta amica Rosina".

"E chi è?"- chiedono.

"Il ministro dell'Interno", rispondo.

"Quella con quella voce?", dice il piccolo.

"Che voce? Da vicino non c'è niente da dire sulla sua voce. E' diversa, migliore. E' intelligente".

"Chi, la voce?"

"Lei, e di conseguenza la sua voce, appaiono diverse".

"Hai cambiato idea allora?"

"Capita di cambiare idea. La Tv falsa le persone... Allora da vicino..."

"Ti sei accorta di com'era da "viva"..."

"Esatto", taglio corto.

 

Ma la riunione non è finita.

 

Ritorniamo nella sala della Sacrestia dove il dibattito riprende. Chiedo di intervenire. Ripenso al caffè che mi è stato negato e intendo parlarne. E' un discorso di democrazia; di assenza di democrazia e dovrebbe interessare questa platea così attenta e sensibile. Non posso però certo prendere la parola tra tutte queste donne ministro e parlamentari per dire "Sono incazzata, mi hanno negato un caffè". Intervengo sul titolo da dare al comunicato stampa.

Anna Serafini che presiede il dibattito mi dà la parola. Mi alzo lentamente e taccio alcuni secondi per creare un po' di attesa. Quando sono certa di avere tutti gli occhi addosso, dico: "Farci del male non è indispensabile".

La Serafini aspetta, poi dice "Sì, è vero." Ma ha uno sguardo interrogativo, non capisce perché ho detto quella frase.

Allora spiego: "Volevo dire che... "Farci del male non è indispensabile" può essere il titolo del comunicato stampa da indirizzare a Prodi e agli uomini dell'Ulivo.

"E' bellissimo!", afferma Rosy Bindi.

"E' vero. E' il titolo giusto" dice la Serafini.

In poco tempo c'è un'approvazione generale. Rita Capponi spiega chi sono, vantandomi. Mi affretto a dire loro la faccenda del caffè. Mi danno ragione. Mi invitano ad andare insieme al bar.

"Ma non è questo il problema - replico- è che non ci possono essere distinzioni anche nel diritto ad avere un caffè". Non si può gestire un bar con i soldi dei contribuenti e negare l'ingresso a quelli che non sono parlamentari. In fondo io qui sono stata invitata, identificata, ed ho il mio bravo cartellino al petto con su scritto "ospite". Ma a casa vostra gli ospiti così li trattate?.

Mi danno ragione, ma gli interessa di più il lavoro da finire. Mi invitano a scrivere insieme a loro anche il comunicato stampa.

La onorevole Luisa De Biasio Calimani mi chiama in disparte, mi da' un bigliettino da visita chiedendomi di telefonarle. Vedo che è DS eletta nel collegio veneto. Ha necessità di qualcuno che si occupi di lei nei rapporti con la stampa e i mass media. "Tempo addietro avevo incaricato un giornalista - mi dice - ma non ho ottenuto grandi risultati".

Lavorare sulla visibilità delle donne. Contro l'oscuramento. E' questo che mi chiede. Mi impegno a telefonarle in serata per prendere accordi.

Il giorno dopo "La Repubblica" divulga il comunicato delle donne dell'Ulivo intitolato "Farci del male non è indispensabile". La sera D'Alema viene ripreso in televisione durante un Tg ed afferma con la solita suadenza "Farci del male non è indispensabile", toccando gli stessi argomenti del comunicato. Qualche giorno più tardi Antonio Di Pietro durante un'assemblea del suo Movimento presso il cinema Etoile in piazza S. Pietro in Lucina, dice "Farci del male non è indispensabile".

Sono lì anch'io. E confesso che mi esalta un po' questa possibilità di inventare frasi da far dire agli altri. Durante il break mi avvicino al senatore Di Pietro e chiedo la possibilità di intervenire. "Fino ad ora le donne intervenute sono pochissime", gli dico. Lui chiama Lia, segretaria di Michele Caccavale (l'onorevole del libro edito da Kaos) che ha la lista degli interventi prenotati. "Diamo spazio alle donne. Fai parlare la Montanelli" .

" Ho quindici interventi prima del suo. Dopo toccherà a lei", risponde Lia.

"Alla fine, quando non ci sarà più nessuno?"

"Ci sono quindici persone: onorevoli, rappresentanti regionali, delegati che si sono prenotati stamattina presto. Va bene se interviene come sedicesima?"

"No, grazie. Non è importante. Lasciamo spazio a chi è più motivato di me".

Per la prima volta si incontrano i tre gruppi che entrano a far parte del nuovo

movimento "i Democratici". Ci sono I sindaci di Centocittà, i prodiani con Arturo Parisi, e i dipietristi con Antonio Di Pietro.

Così aspetto l'intervento dei leader e poi, come la maggior parte dei convenuti, mi allontano. E' ormai quasi l'una. E' domenica. A casa i miei ragazzi mi aspettano.

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Qualche mese più tardi, incontro con Violante

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ROMA - CAMERA DEI DEPUTATI

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DONNE NELLE ASSEMBLEE REGIONALI

Silvana Amati - 10 Gennaio 2000

(Trascrivo l'inizio del testo con l'intervista di Silvana Amati)

 

 

"Quando, come Conferenza dei Presidenti dei Consigli Regionali e come Centro Studi delle assemblee legislative regionali italiane, abbiamo pensato a questo incontro certamente Celestina Ceruti ed io siamo partite da noi.

Siamo partite dalla consapevolezza di essere "poche donne" chiamate a svolgere una significativa funzione istituzionale nell'ambito delle assemblee regionali legislative ed abbiamo ritenuto che potesse essere impegno di tutta la Conferenza promuovere la discussione sul ruolo svolto in questi anni da tutte le donne elette nei Consigli regionali (...) * "

 

La conferenza è nella sala del Cenacolo della Camera dei deputati, patrocinata dal Ministero per le Pari Opportunità. C'è una massiccia presenza di giornalisti e fotografi. La scaletta prevede l'intervento dell'onorevole Luciano Violante, presidente della Camera dei Deputati, di Celestina Ceruti, Presidente del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna, poi di Silvana Amati, Presidente de Centro Studi delle assemblee Legislative Regionali (CESAR)  e presidente del Consiglio regionale delle Marche.Quindi di Amalia Sartori, Parlamentare europeo e Presidente del Consiglio regionale del Veneto. Prima che inizi il terzo intervento l'onorevole Silvia Costa, che in rappresentanza della Commissione Parità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, coordina la conferenza, preannuncia che di lì a poco interverranno alcuni ministri di sesso femminile, e prima fra tutte il Ministro per le Pari Opportunità Laura Balbo, seguita da Katia Bellillo, Ministro per gli Affari Regionali; A seguire poi la senatrice Francesca Scopelliti, l'onorevole Claudia Mancina, l'onorevole Anna Serafini e altre ventisei donne con incarichi istituzionali.

Il discorso di Violante termina e immediatamente cameramen, fotografi e maestranze varie si avviano verso l'uscita portando con sé i loro pesanti attrezzi.

Delle donne Ministro delle donne Deputato, delle presidenti dei Consigli Regionali, delle rappresentanti di partito o Assessori o Consiglieri, questi giornalisti non sanno che farsene. Vanno via. Lasciano la sala con gli spot in spalla. Privano la sala anche dell'illuminazione che peraltro serviva per le riprese. La maggioranza delle persone presenti, appena possibile,  cerca di organizzare una protesta. Silvia Costa, la Serafini, Rita Capponi e altre, parlottano durante l'intervallo. Pensano di commissionare a qualcuno un paio di spot televisivi che affrontino il disagio delle donne in politica. Rita mi chiede di ideare qualcosa che focalizzi il problema della mancata visibilità femminile nelle istituzioni e nella politica.

Il giorno dopo faccio avere a Silvia Costa quattro progetti di spot.

L'idea che espongo qui è una delle quattro. Mi pareva uno spreco non proporre come spot la descrizione di una realtà che aveva superato la fantasia.

 


4.1.  Spot pubblicitario Pari Opportunità

 

"Conferenza di donne"

 

In una sala del Cenacolo della Camera dei Deputati c'é un'importante convegno seguito da molte televisioni e da una massiccia presenza di giornalisti e fotografi. E' una conferenza di donne presidenti di Regioni, ma non mancano tante donne deputato e qualche ministro di entrambi i sessi. C'è Violante, presidente della Camera dei Deputati previsto in scaletta come terzo intervento. Dopo di lui un ministro di sesso maschile e poi tante donne parlamentari, ministro e presidenti di Regione.

Brevi flash rappresentano gli ospiti che parlano al pubblico in sala mentre i fotografi e le Tv si accalcano e sgomitano per riprenderli. Il terzo ospite ministro finisce di parlare e Violante, scusandosi per gli impegni che lo reclamano altrove, spiega che a malincuore deve allontanarsi. Saluta e se ne va.

La coordinatrice del convegno sta ancora elencando gli importanti nomi di donne che interverranno, prima fra tutte il ministro per le Pari Opportunità Laura Balbo, quando cameramen, fotografi e operai con attrezzature varie guadagnano l'uscita alla spicciolata.

Si inquadra il ministro per le Pari Opportunità che sta per iniziare il suo discorso mentre non c'è più nessuno a riprenderla. "Mi rivolgo a voi perché intendo far luce su..."

A questo punto si spengono tutte le luci dirette al tavolo degli oratori tranne una, un occhio di bue che manda un fascio luminoso sulla donna ministro che tenta di riprendere il discorso iniziato: "Dicevo è mia intenzione far luce..."

Qui l'oratrice viene interrotta dall'operaio delle luci che dice: "Mi scusi, ma devo smontare tutto e andarmene. Mi hanno detto che non serve più restare". Spegne allora quell'unico 'spot' luminoso e si allontana con gli attrezzi in spalla.

Dal buio si accendere la flebile luce di una candela che schiarisce appena il viso della donna ministro. Si inquadra poi la sala dei convegni dove le donne presenti, una ad una accendono fiammiferi e accendini. Di nuovo si inquadra il ministro Laura Balbo delle Pari Opportunità che dice: "Stavo spiegando che sarebbe nostra intenzione far luce sulla poca visibilità che hanno le donne presso i Media". Alla fine di questa frase il suo fiammifero si spegne, si spengono anche gli altri, e la sala resta al buio.

 

4.2.  Documento integrale Convegno Donne nelle Assemblee Regionali 

E QUESTO, PER CHI HA VOGLIA DI SAPERNE DI PIU' E' IL DOCUMENTO INTEGRALE DISTRIBUITO DURANTE IL CONVEGNO:

 

 

Silvana Amati

Convegno Roma - Camera Deputati
Donne nelle Assemblee regionali
(10 gennaio 2001)

 

Quando, come Conferenza dei Presidenti dei Consigli Regionali e come Centro Studi delle Assemblee legislative regionali italiane, abbiamo pensato a questo incontro, certamente Celestina Ceruti ed io siamo partite da noi.

Siamo partite dalla consapevolezza di essere "poche donne" chiamate a svolgere una significativa funzione istituzionale nell'ambito delle assemblee regionali legislative ed abbiamo ritenuto che potesse essere impegno di tutta la Conferenza promuovere la discussione sul ruolo svolto in questi anni da tutte le donne elette nei Consigli regionali.

Con soddisfazione abbiamo registrato il consenso di tutti i colleghi, nella dichiarata convinzione che una democrazia compiuta abbia oggettivamente bisogno delle donne per poter essere considerata tale.

Mi è sembrato inoltre utile poter portare alla discussione odierna una velocissima prima analisi della legislazione prodotta nelle regioni a statuto ordinario dagli anni Settanta ad oggi, mettendo al centro dell'attenzione le questioni poste dallo specifico femminile.

L'intenzione è quella di attivare un ragionamento, a partire dal ruolo e dalle funzioni delle assemblee legislative. Quindi il lavoro commissionato dall'ufficio legislativo del mio Consiglio regionale (ringrazio qui la dr. Gavazzi ed il dr. Misiti per l'efficace collaborazione) riporta esclusivamente il lavoro legislativo delle assemblee.

Sarebbe utile anche un'analisi ancora più articolata, che tenesse conto degli atti compiuti direttamente dai governi regionali e proposti come atti amministrativi, dei quali è assai complesso poter compiere una rilevazione. D'altro canto è dell'iniziativa dei Consigli di cui oggi, in particolare, vorremmo parlare. Con la prossima tornata elettorale interviene un nuovo rilevante elemento di innovazione: l'elezione diretta dei presidenti delle Giunte.

Su questa norma più volte ci siamo espressi come Conferenza dei Presidenti, per sottolineare, tra l'altro, la sempre maggiore necessità di una sincronica valorizzazione del ruolo e delle funzioni delle Assemblee legislative, nella convinzione che, senza le giuste compensazioni, si potrebbe in futuro vivere, anche nei consigli regionali, il disagio già tante volte raccontato dai colleghi consiglieri comunali e provinciali.

Attraverso le leggi regionali e la storia legislativa regionale di questi trenta anni vengono illustrati, in modo tecnico e quasi tendenzialmente asettico, il lavoro, l'impegno e anche l'evoluzione del contributo della rappresentanza femminile nelle istituzioni territoriali.

La forza esercitata nella costruzione degli atti legislativi rilegge la storia delle donne, che ha potuto produrre a volte atti simbolici, a volte fortemente legati alle realtà locali, ove sono stati in grado di incidere profondamente. Producendo effetti positivi.

Sarebbe stato utile poter ragionare anche sugli impegni finanziari. Troppo spesso, infatti, si è verificato che la legislazione "al femminile" ha ottenuto comunque un consenso delle aule quando ha mosso risorse minime o comunque ridotte, quasi si trattasse di consentire solo l'applicazione formale di un principio.

Così come sarebbe certamente utile un lavoro più approfondito che consentisse di valutare l'impegno nelle diverse Regioni a statuto ordinario. Rapportandolo al numero delle elette e alle loro funzioni. In particolare sarebbe assai interessante poter comprendere quanto incida il lavoro istituzionale al femminile, quando esso viene esercitato nelle assemblee e quando, più raramente, esso si svolge negli esecutivi.

Oggettivamente emerge il dato della necessità di una praticata democrazia della rappresentanza. Se importante, anzi indispensabile, si è manifestato il lavoro compiuto dalle donne elette nelle Regioni il problema futuro è quello di garantire una continuità ed anzi una maggiore incidenza nelle scelte di governi regionali in prospettiva ancora più autonomi e forti.

I segnali che cogliamo nei diversi territori regionali non sembrano particolarmente positivi, anzi, una nota ma sottaciuta tendenza generale fa presupporre un' ulteriore drastica riduzione della rappresentanza femminile, quando peraltro la qualità del lavoro compiuto da poche è un valore non considerato a sufficienza. Di questa carente valutazione credo possa essere dimostrazione anche l'odierna nostra necessità di documentare e valorizzare presenze, conquiste, testimonianze.

Abbiamo lasciato il Novecento con la diffusa consapevolezza che l'unica rivoluzione universalmente condivisa, almeno nel mondo occidentale, sia quella compiuta dalle donne. Questo dato farebbe logicamente presupporre che nella condivisione generale il ruolo delle donne nel mondo del lavoro, nelle istituzioni, nell'università, nell'informazione, sia destinato ad un ulteriore riconoscimento ed a un miglioramento progressivo.

La realtà è assai diversa e anzi pericolosamente contraddittoria, come potrebbe simbolicamente dimostrare l'annuncio della chiusura del periodico "Noi donne", che certo ha rappresentato per molte la voce dell'impegno femminile.

E' noto che in particolare le donne affollano le schiere dell'astensionismo realizzando quella fuga nel nulla, che ha la sua premessa nelle percentuali rosa ed amare della disoccupazione, ma che certo si consolida nella forte difficoltà di vedere rinnovata nelle istituzioni quella passione civile delle scelte, senza la quale la politica perde progressivamente e drammaticamente senso.

I governanti regionali per essere rinnovati e veramente autorevoli dovranno essere dunque più "amici" dei cittadini e più "amici" delle donne. Dovranno realizzare una politica delle scelte partendo dalle idee dei cittadini e delle cittadine, come persone intere. Dovranno far comprendere a tutti che è indispensabile allargare gli spazi di libertà, dovranno mettere al centro della loro azione parole chiave come "solidarietà" "lotta alla povertà", "sicurezza", "multietnicità", dovranno realizzare politiche "amiche" delle famiglie, dovranno prendersi in carico il mondo realizzando i principi della solidarietà internazionale, consentendo di contrapporre al "ware state" il "welfare state", intuizione vera e vitale delle democrazie.

Per poter realizzare compiutamente questo quadro, per garantire la progressione e l'ampliamento del lavoro fin qui prodotto quante e quali donne ci saranno sui banchi dei parlamenti regionali dopo il 16 aprile?

Dalla ricerca compiuta dall'ufficio legislativo della mia regione si sono potuti rappresentare i lavori dei consigli regionali in interventi schematizzabili come rari negli anni Settanta, rilevati dal 1977 al 1980 (legati questi a in particolare a leggi nazionali nel settore socio-sanitario), specifici e di grande interesse nella seconda metà degli anni Ottanta con l'istituzione delle Commissioni pari opportunità e degli organismi di parità) e infine "qualificanti e innovativi" negli anni Novanta, quando con più forza ci si è potute impegnare sul fronte dell'occupazione, della formazione, dei tempi di vita della famiglia, del diritto alla salute e alla maternità libera e consapevole.

Per brevità lascio a voi l'analisi della ricerca prodotta per quanto riguarda la comparazione dei testi più significativi posti in essere dalle varie assemblee regionali, ricordando che risulta assai più significativa anche la capacità di introdurre elementi formativi a favore delle donne in atti del più diverso interesse generale.

Si testimonia ancora un'Italia a macchia di leopardo, dove però sempre più le differenze tendono a uniformarsi e il lavoro compiuto in rete consente di poter sperare nella realizzazione di servizi al femminile garantiti per tutti e tutte in tutte le Regioni.

Vedete bene che, per non disperdere le esperienze e il lavoro compiuti, sarà indispensabile un massimo di consapevolezza del valore della rappresentanza femminile nelle istituzioni.

Non crediamo che sia utile per la democrazia italiana "globalizzare" la sorpresa per niente sorprendente della soluzione "Noi donne". Ci auguriamo che le donne, ma anche gli uomini, che rappresentano il paese nelle forze politiche di governo e di opposizione, sappiano considerare che senza l'innovazione di una democrazia "al femminile", non c'è futuro per la stessa democrazia, se non in un'ottica di oligarchie di bismarkiana memoria.

 

 

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5 "8 Marzo 2000"

L'omaggio di Raffaele Fellah

Ho faticato un paio d'ore aiutata da Miki, mio figlio tredicenne, a tagliare rami e rami di mimosa. Li porto all'hotel Massimo D'Azeglio in via Cavour. C'è un convegno di donne Democratiche del Lazio. Ci si raccoglie tutte insieme per ufficializzare l'incarico di coordinatrice a Rita Capponi. La sala è gremita. Tutte donne, o quasi. Intervengono la senatrice Carla Mazzuca Presidente della Commissione Infanzia, Alessandro Battisti coordinatore regionale dei Democratici, Romolo Guasco capogruppo alla Regione, Patrizia Ninci capo della Commissione Commercio in Campidoglio, Pamela Pantano Assessore alla Città delle Bambine e dei Bambini del Comune di Roma. Tante altre persone.

I miei cesti di mimose fanno un bell'effetto decorativo posti agli angoli del palco.

Giulia ed io siamo a fianco di Rita. In fondo siamo le due persone sempre disponibili con lei, Giulia Barbiero è ricercatrice al CNR, una bella testa intelligente, un matematico, una bravissima donna.

Chiedo ad uno dei camerieri in sala di procurare qualche vaso per disporre anche dei fiori su un paio di tavoli che stanno ai lati della sala.

Donne, tante donne, provenienti da tutta la regione, sono presenti e determinate: attiviste del Movimento, Delegate, Consigliere regionali e comunali, Assessori.

E' una bella festa. Il giorno della mimosa non ha più il significato che per noi donne aveva una volta. Con la strumentalizzazione che se n'è fatta e con la distorsione in mera festa di consumi, si è banalizzato se non umiliato il contenuto simbolico della festa delle donne. Le grandi abbuffate in pizzeria, alle quali nel passato anche io ho partecipato, sono lontane dall'evento che con questa festa si voleva ricordare.

L'accusa di ghettizzazione da parte delle donne che non desideravano festeggiare era non proprio ingiusta se si considera che l'otto marzo diventava un'occasione per prendersi alcune libertà che durante l'anno non sono permesse. Hanno ragione però, coloro che snobbano la festa della donna, a dire che noi dovremmo poter andare a cena tra donne in qualunque momento dell'anno. Ed essere libere sempre. Ciò non toglie che è importante mantenere il significato di commemorazione dell' 8 marzo 1929, giorno in cui un gruppo di donne operaie sono morte in un incendio per affermare i propri diritti.

 

Noi donne al convegno

 

Qui, nella sala dell'hotel Massimo D'Azeglio, è comunque una bella festa. Il significato c'è, anche se non ufficializzato da documenti scritti. Gli incarichi e i diritti si conquistano sul campo, come quasi tutto ciò che avviene in questo giovane Movimento. Un Dipartimento donne che da anni è attivo, si rende palese a tutti. Invita le persone nuove ad inscriversi per collaborare; ha la partecipazione del Coordinatore regionale che interviene con un discorso sulla fiducia che è necessario dare alle donne. E mentre lui parla siamo in contatto con la segretaria di Rutelli che è atteso in sala ma non si sa quando potrà raggiungerci, perché lì vicino, alla stazione Termini, non so in quale sala convegni, c'è una riunione dell'Esecutivo Nazionale del Movimento.

Abbiamo un nugolo di nuove iscritte al Dipartimento Parità dei Democratici e questo è per noi un successo. Gli interventi si susseguono, tutti con buone intenzioni e dimostrazioni di fiducia nei confronti delle donne. Quando a parlare sono gli uomini è questo che in genere affermano e quasi ci si crede. Più mirati sono gli interventi di alcune di noi. Ci si chiede che cosa di reale si intende fare per recuperare il  cosiddetto partito astensionista, costituito in massima parte da elettorato femminile demotivato a recarsi alle urne. Naturalmente, oltre a ciò, si discute di argomenti di ordine generale: dall'infanzia alla sicurezza nelle città, alla disoccupazione.

Ad un certo punto, appena terminato l'intervento di Pamela Pantano, vediamo entrare Raffaello Fellah, seguito da due persone cariche di fiori che depositano in parte sul palco ed il resto distribuiscono in mazzettini alle donne presenti. Mentre questo avviene, un gruppo di violinisti entra suonando e improvvisa un concertino. I musicisti si vanno a piazzare nell'angolo estremo del palco. Raffaello Fellah come un uomo d'altri tempi si avvicina alle donne presenti e fa il baciamano, s'inchina e si rivolge al pubblico incitando ad applaudire. Poi viene invitato a parlare. Fa un breve ma suggestivo discorso sulla stima che lui ha delle donne in politica. Sulla simpatia che ha per Rita Capponi che ammira per il lavoro effettuato per l'Unicef in favore delle donne del Mediterraneo. Termina dicendo che tutte le donne meritano di essere meglio apprezzate sia in politica come in altri campi.

Devo dire che il discorso di Fellah, un po' per come si è introdotto nella sala, un po' per la sorpresa e il piacere della musica che sempre commuove noi appartenenti al gentil sesso, fa una certa impressione. Anche perché, non dimentichiamolo, Fellah è un nordafricano e al suo paese le donne non è che siano proprio molto considerate. Onore al merito!

Tra le note della primavera di Vivaldi, il romantico Raffaello Fellah fa un ultimo inchino e se ne va applaudito dalla platea femminile.

Finito il nostro convegno usciamo Giulia, Rita ed io per andare a sentire le novità che verranno fuori alla riunione dell'esecutivo. Li c'è un clima teso. Molti sono in attesa. Bivaccano da ore tra i corridoi e le grandi sale antistanti la stanza della riunione. Sembra che il senatore Antonio Di Pietro sia alquanto irritato. E' un periodo di cambiamento e di divisioni dei poteri che esaspera gli animi. Viene fuori dalla sala della riunione Albertina Soliani. Rita domanda: "Come procede?"

"C'è maretta. Sapessi che brutto clima!" risponde la senatrice tentando di spiegarci i motivi dell'uno e dell'altro contendente. Come sempre ai due punti estremi della discussione sono Parisi contro Di Pietro e viceversa. Non riusciamo a finire di parlare che scoppia un litigio. Lì all'esterno della sala riunioni c'è un alterco tra l'onorevole Michele Caccavale e Luca Nitiffi. Luca è un giovane attivista che fa parte del coordinamento Democratici del Lazio. Sembra si discuta su chi sono le persone che hanno diritto ad entrare nella sala per prendere parte alle decisioni. Nitiffi ed altri impediscono l'ingresso al gruppo di Caccavale. Volano parole grosse e urla.

E' tardi; pomeriggio inoltrato. Rita e Giulia restano lì, io saluto e torno a casa con i miei cestini delle mimose ormai vuoti. Sono triste, mi dispiace per Di Pietro, anche se non so bene questa volta perché sta litigando.

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6.  Qualche tempo fa: via del Corso 262, " l'Italia dei Valori "

Le elezioni europee. Si riorganizza il treno di Prodi. La Capponi è candidata nel collegio centrale: Toscana, Lazio, Abruzzo. Anche Rutelli lo è. A Firenze durante una pausa per il pranzo e dopo un incontro con i gruppi dei circoli toscani, gli do la copia di "Libera Tribuna". E' il giornale del movimento di Di Pietro, diretto da Arturo Stanzione, un odontoiatra prestato alla politica.

A pag. 6 c'é un mio articolo intitolato "Con l'Asinella scalciante dei Democratici" in cui spiego che a mio parere l'asinello, nostro simbolo potrebbe essere di sesso femminile e con ciò simboleggiare un'apertura verso le "pari opportunità".

Durante una conferenza stampa di Prodi nella sala stampa del treno, gli chiedo davanti a tutti se l'asinello potrebbe, secondo lui, rappresentare un'asinella. Voglio cioè sapere quanto spazio è quali opportunità si intende dare alle donne in questo Movimento in nascita. Prodi se la cava bene, anche se meravigliato per la mia domanda insolita. Soprattutto non si aspetta che una persona al seguito del treno gli rivolga domande al posto dei giornalisti delle varie testate. Ma risponde al volo che le Pari Opportunità saranno assicurate a tutti perché è giusto, com'è giusto che si provveda a garantirli a tutti i cittadini italiani di entrambi i sessi.

Ciò che mi fa estremamente piacere è invece il commento sul mio articolo di Francesco Rutelli. Mi dice che lo ha apprezzato.

"Perché ti è piaciuto Sindaco?, chiedo.

"E' un modo suggestivo di porre la questione donne"

"Esiste, secondo te una questione donne da porre?"

"Esiste, ed è certa da parte mia la fiducia nelle grandi possibilità che avete voi donne in politica, come in  altri settori; non vi è ombra su questo. Come non ve ne è sulla capacità e l'intelligenza contraddistingue spesso il vostro operato. Volevo però dirti che di quello che hai scritto ho apprezzato il senso dell'umorismo prima e poi il riferimento all'equilibrio, ad una abnegazione tutta femminile...che non deve essere sprecata".

"Grazie per l'apprezzamento", rispondo a Rutelli e mi meraviglia la sua semplicità di approccio, la voglia che ha di far sapere ad una persona per lui sconosciuta fino al giorno prima, che approva il suo modo di esprimersi le sue idee. Per questo modo di fare Rutelli risulta essere per me una sorpresa. Ma capirò in seguito anche che è un uomo che così come non ha timidezze nei confronti di suo rivali in politica, altrettanto ritiene che le donne non debbano intimidirsi rispetto alla possibilità di assumere incarichi di rilievo. Mi pare un buon segnale di democraticità. Spero di non sbagliarmi.

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     Il giornale di Di Pietro

Resto ancora sull'argomento"Libera Tribuna" che è il giornale dell'Italia dei Valori. O almeno lo è fino a quando un giorno Antonio Di Pietro decide di fare un Movimento nuovo chiamato "i Democratici" insieme alcuni sindaci di "Centocittà" (Rutelli, Bianco, Cacciari ) e Prodi. Allora cambia tutto. Per un certo periodo la nostra sede di via del Corso rimane il luogo di principale riferimento. Lì abbiamo il Centro elaborazione dati attrezzatissimo, di cui il Senatore è geloso, vari dipartimenti operativi, infiniti circoli in tutta Italia e il giornale "Libera Tribuna". Poi a mano a mano si sposta tutto verso piazza Santi Apostoli. Prodi, è in Europa e al suo posto v'è il professor Arturo Parisi che ben presto si trova ad essere avverso a Di Pietro. Qualcuno durante le loro assemblee cerca di mediare. Talvolta ci riesce Willer Bordon che con Tonino Di Pietro ha fondato L'Italia dei Valori. Il più delle volte però c'è malumore incomprensioni e rivalità durante quegli incontri. Non mi dilungherò ad affrontare questo argomento, almeno non subito,  perché troppo complesso e delicato per liquidarlo in poco tempo. Dirò solo che c'era una grande differenza di comportamento, modi di proporsi,  conoscenza delle ragioni della politica, tra i gruppi che si sono coalizzati. Noi provenienti da via del Corso eravamo la parte più genuina dell'apporto umano verso i Democratici, la parte più numerosa, meno scafata politicamente, o meno raffinata se vogliamo.. Dirò che a causa della nostra ingenuità politica non sapevamo bene come muoverci, cioè non sapevamo bene che occorre, prima di fare affermazioni, sondare il terreno, capire, prevedere, negoziare. Oppure stare attenti a non urtare la suscettibilità di chi ha sempre il timore di trovarsi di fronte a furbi che possano danneggiarlo. Per rendere l'idea, noi eravamo come dei pionieri che avevano messo la bandiera su un territorio e che poi si erano trovati a dover convivere con un gruppo di coloni  già organizzati in senso oligarchico; che non potevano accettare di convalidare i ruoli che noi ci eravamo inventati e che il nostro leader aveva approvato.

Per dare un breve esempio della nostra semplicità dirò che durante la prima riunione in piazza Santi Apostoli, la prima che univa in colloquio tutti insieme, noi dell'Italia dei Valori, con i prodiani e gli aderenti a Centocittà; io intervenni e chiesi  se era intenzione dei Democratici far sì che il giornale "Libera Tribuna" divenisse l'organo ufficiale del nostro Movimento. Mi rispose Marina Magistrelli visibilmente contrariata, ed io non capii perché. Mi chiese:

"Perché esiste un giornale del Movimento? Non ne mai sentito parlare".

" Non ne ha sentito parlare? - aggiunsi- c'é qui il direttore Arturo Stanzione",

 e lo indicai mentre lui scuoteva la testa sconsolato. L'onorevole Magistrelli cambiò discorso. A questo punto l'argomento da me proposto era chiuso.

Successivamente venne fuori un altro giornale a colori, provvisorio, che non sono riuscita a sapere da dove nascesse (nel senso di dove fosse la redazione) e di conseguenza nessuno di noi provenienti da via del Corso è mai riuscito a pubblicare nulla. Un giornale che dopo due uscite è sparito. Non era meglio lasciar vivere allora "Libera Tribuna"?

Che altro dire. Marina Magistrelli, che prima del mio intervento mi salutava fugacemente, a volte con un sorriso, dopo prese a salutarmi, sempre in modo fugace e per pura cortesia, perché in realtà non ci conosciamo; però non ha più sorriso.

Forse, l'aver chiesto di adottare il giornale di Stanzione mi ha resa poco simpatica. Oppure tutto dipendeva dal  fatto che mi firmavo, scrivendo in Libera Tribuna come "responsabile della Comunicazione e dell'Immagine femminile nei Democratici". Un campo di suo interesse.

Concludo spiegando che l'azione frustrante verso l'iniziativa, l'entusiasmo, l'impegno di molte persone che derivavano dai circoli di Di Pietro non ha fruttato ai Democratici.  Si è persa una risorsa importante del Movimento perché qualcuno, per paura di non ottenere  la chiave d'accesso prima che l'edificio fosse costruito, ha fatto crollare la casa o parte importante di essa.

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7.  Il treno di Prodi

Il nostro treno è simbolo di speranza e di vita. 
Il nostro treno è un'immagine dell'Italia e dell'Europa
che vogliamo:
un insieme di vagoni uniti da una meta comune,
da una direzione di marcia.

Il nostro treno attraversa tutte le stazioni italiane,
si specchia in questo lento mutare dei paesaggi, dei dialetti,
nell'alternarsi degli odori e delle voci delle diverse plaghe d'Italia.

Attraversa le montagne e passa accanto ai fiumi
che assecondano il ritmo della natura e il tempo della vita.

Il nostro treno riporta la politica tra la gente.
Non insegue le novità fasulle,
ripercorre i binari di ciò che è già stato,
tentando di trovare un nuovo senso,  di unire memoria e futuro.

Il nostro treno  è il treno di un secolo che tramonta
e di uno nuovo che inizia,  in un fragore di speranza ed inquietudini

Agli altri amici de L'Ulivo torno a ripetere
che il nostro treno non è contro nessuno,
che dopo il 13 giugno per battere la destra,
dovrà ripartire un dialogo tra noi.  Buon viaggio!"


7.1 Da Prodi a Di Pietro

Sono sul treno come addetta stampa, oltre che amica e consigliera di Rita Capponi, candidata per il collegio centrale. In verità avevo accettato credendo che il collegio fosse quello meridionale, cioè Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria; interessata a girare per i collegi insieme a Di Pietro. Avevamo progettato tutta una serie di promozioni originali. Venivamo entrambe da una precedente esperienza di attraversamento dell'Italia in camper. Era il periodo in cui Segni, Abete, Di Pietro si davano da fare per il Referendum Maggioritario. Rita aveva noleggiato un camper e con quello avevamo girato mezza Italia per promuovere il Referendum sensibilizzando le donne. Avevamo fatto precedentemente un grande lavoro preparativo. Dagli uffici del nostro Dipartimento nell'Italia dei Valori, Rita Capponi, Giulia Barbiero, ed io, insieme a tante donne volontarie avevamo costruito una fittissima ed estesa rete di iscritte in tutta Italia. Per lo più donne che per la prima volta si avvicinavano ad un Movimento quasi-partito come il nostro. La cosa più bella era che pochissime si intendevano di politica, e il Movimento Italia dei Valori era riuscito a calamitare persone di ogni età che mai avrebbero, in altre occasioni, avvicinato qualcosa di così sconveniente come il mondo politico specie nell'era Tangentopoli.

La sera dopo i nostri abituali lavori ci ritrovavamo in via del Corso e davamo inizio alle telefonate in tutta Italia: dalla Sardegna, al Piemonte, al Veneto, alla Calabria. Una marea di donne di ogni ceto e cultura. Molte imprenditrici toscane, una psicoterapeuta marchigiana, delle calzaturiere napoletane, insegnanti sarde, operaie del Veneto; donne magistrato, donne assicuratrici, attrici, cantanti, casalinghe, studentesse, pensionate, donne del mondo dello spettacolo.Tra queste Rita Pavone, Gina Lollobrigida, poi candidata per le europee. Rita Pavone diede la sua disponibilità per ogni tipo di promozione.

Giulia Barbiero che lavora come primo ricercatore al CNR, era preziosa per la elaborazione di ricerche statistiche. Io mi occupavo di relazioni con la stampa e con le nostre iscritte. Anna Focarelli, svelta ed efficiente organizzava i lavori di segreteria e durante la campagna elettorale per le europee riuscì a coordinare un gran numero di persone che collaboravano volontariamente: Adele Quercia, Paola di Tullio, Roberto Diddoro, Filomena Di Gioia, Carmelina Marazzia e tante altre. Due sorelle di età piuttosto avanzata, fedeli al mito di Di Pietro erano sempre presenti, Si chiamano Maria e Mary. Ed era incredibile per noi la dedizione al lavoro che le portava ad essere tutti i giorni in via del Corso, anche perché sapevamo che avevano qualche difficoltà economica. Ci venne riferito che per loro due anche acquistare i biglietti per la metropolitana poteva, in certe giornate, rappresentare un problema invalicabile. Però con la dignità di molti poveri non dicevano nulla; così come non accettavano mai di bere un caffè o una bibita insieme a noi nella stanza dei distributori automatici. Quando finalmente capimmo la situazione, portavamo direttamente le bevande nella nostra stanza per tutte noi, e Rita pagava loro l'abbonamento per il metrò.

In fondo al corridoio del primo piano al 262 di Via del Corso c'era l'ufficio di Antonio Di Pietro e a fianco quello di Bordon.

Antonio Di Pietro mi era sembrato disponibile a dare fiducia alle donne. Lo dissi a Rita che però ci pensò un po' e poi rispose. "Se paragonato agli altri lui ti da' più spazio, ti lascia autonomia, salvo poi defenestrarti se sbagli. Ma questo lo fa anche con gli altri, cioè con gli uomini!".

"Possiamo dire che quando s'incazza non guarda in faccia a nessuno?" dissi scherzando.

"Puoi esserne certa. Maschio o femmina, se ti ci deve mandare ti ci manda!"

"Hai fatto bene a dirmelo - risposi - così mi regolo".

Poi Rita, che lo conosceva da più tempo di me, mi diede un consiglio: "Quando devi parlargli - disse - guardalo bene in faccia. Se ti accorgi che è incazzato lascialo perdere. Se ti sorride continua pure".

"Com'é quando è incazzato?", chiesi.

"Lo vedi subito - proseguì Rita - Non sorride, e per una qualsiasi sciocchezza è capace di mandarti a quel paese". Hai visto l'altro giorno come ha trattato la presidente della Federcasalinghe?"

Devo dire che raramente ho visto ingrugnato il senatore Di Pietro. Gentilissimo ogni volta che occorreva parlargli, spesso era di umore allegro e allora improvvisava qualche battuta. Penso che avesse grande considerazione dell'apporto che noi donne davamo al movimento. Gli stava bene tutto ciò che progettavamo. Del resto penso che gli facesse molto piacere sapere che avevamo organizzato quella fittissima rete di donne pronte a tutto che andava dalle Alpi a Pantelleria. I circoli di dipietristi si moltiplicavano giorno per giorno e non c'era città in cui non vi fossero persone disposte a lavorare gratis per la politica, per questa nuova politica dell'era post Tangentopoli, che tornava ai valori, alla riconquista della fiducia della gente. Mi capitava di chiamare al telefono persone diverse. Oggi un'imprenditrice, domani una casalinga, o un'operaia o una commerciante, e sempre, o quasi, mi dicevano "Io non ho mai partecipato alla politica prima d'ora, però siamo con Di Pietro. Nel mio circolo la pensiamo tutti allo stesso modo, e oltre al circolo c'è la mia intera famiglia. Tutti noi ammiriamo il Senatore".

Antonio Di Pietro Lasciava completamente carta bianca a noi donne. Così sondaggi d'opinione, raccolta di firme per il Maggioritario, iniziative a favore di categorie in difficoltà, convegni, giri in camper. Di Pietro approvava.

Per meglio spiegare devo anche dire che proprio grazie a questa "libertà di organizzare", noi donne forzavamo un po' la mano contro il predominio maschile dei vari luoghi in cui si creavano circoli. C'è stato un periodo, prima delle elezioni europee e ancora prima, in occasione del Referendum Maggioritario, che telefonando ai responsabili di circoli e associazioni in varie città, ci accorgevamo che le donne difficilmente avevano incarichi. Allora Rita si inventò la telefonata "per assunzione di responsabilità" rivolta direttamente alle donne iscritte. Devo dire che da poco era stata fondata l'associazione Emily da cui derivavano progetti e modi per avvicinare le donne alla politica. Tra i motivi di impedimento, si diceva nelle riunioni, ed emergeva dai sondaggi elaborati dalla dottoressa Barbiero, c'era l'assenza di autostima. Così ci inventammo la "terapia telefonica verso l'autostima".

Partii in quarta io, seguita da Giulia e da Anna Focarelli. Si operava così. Dagli elenchi generali delle iscritte al Movimento di Di Pietro estraevamo tutte le donne appartenenti ad una certa zona di una delle città italiane (perché degli esteri se ne occupava Laura Micheli che aveva, beata lei, anche occasione di viaggiare spesso). Naturalmente in base ai dati ricavati dalla scheda di iscrizione ci facevamo un'idea su quale tra le donne iscritte di una certa zona potesse essere più adatta ad "assumersi responsabilità" nel movimento l'Italia dei Valori. Parlavamo con queste persone che trovavamo spesso disponibilissime, entusiaste, talvolta già con qualche esperienza nel sindacato, o con incarichi negli organi democratici della scuola; spesso persone coltissime, ma di una ingenuità disarmante. Tutte erano pronte a tutto per Di Pietro.

La domanda che più comunemente ci veniva posta era: "Che tipo di responsabilità ci proponete?", e in verità noi non sapevamo esattamente che cosa dire. Allora reputai che fosse giusto spiegare loro che il nostro era una sorta di sondaggio con il quale intendevamo sottoporre a Di Pietro quali fossero le persone da segnalare per capacità organizzative, motivazione e disponibilità. Il nostro dipartimento delle Pari opportunità era una buon biglietto da visita per rendere appetibile la proposta che veniva loro fatta. Tanto più se ci rispondevano, come molte volte accadeva, che il circolo al quale erano iscritte era presieduto da un uomo che non avrebbe ben visto la loro tendenza a scavalcarlo. Allora bisognava lavorare di fino. Far capire alla timida interlocutrice che l'uomo presso la cui associazione lei era iscritta non poteva limitare la organizzazione che stavamo impiantando in tutta Italia. La nostra rete era parallela a quella del coordinamento dei "maschietti". Consigliavamo di spiegare ampiamente che nel nostro giovane movimento c'era posto per tutti, maschi e femmine, e che come primo lavoro urgente le nostre iscritte dovevano darsi da fare per il Referendum Maggioritario. Predisporre quindi l'accoglienza al nostro camper di donne che presto le avrebbe raggiunte in ogni luogo. Volevamo trovare, al nostro arrivo, molte persone, soprattutto donne, con bandiere, tavolini, gadget, manifesti e allegria. Insomma riuscivamo a contagiarle con il nostro entusiasmo e ben presto molte donne si convinsero che davvero un vento nuovo soffiava in questo Movimento di Di Pietro.

Accadeva ogni tanto che una delle nostre "responsabili" ci telefonava preoccupata perché il presidente del circolo o il coordinatore della sua zona le aveva imposto di lasciar perdere le nostre iniziative. Non intendeva sopportare che le donne si potessero autonomamente organizzare per dar vita ad una gestione parallela e combinata con quella degli uomini. Qualcuno dava alle nostre donne l'aut aut "O sei con me riconoscendo la mia supremazia organizzativa o sei fuori". In quei casi, spiegavamo alla donna in difficoltà che non era opportuno creare attriti, che nei limiti del possibile era meglio conciliare. Spesso parlavamo direttamente con l'oppositore per capire quali fossero o i suoi timori. Io stessa ne ho rassicurati moltissimi dicendo loro che Di Pietro voleva una forte rete di donne per superare l'astensionismo. Primo perché mancava poco tempo al Referendum Maggioritario e poi per le future elezioni europee.

Era davvero gratificante veder cadere le opposizioni una dopo l'altra e accorgersi che donne davvero capaci trovavano lo spazio necessario per farsi valere. Quando invece si trovava il muro; quando nonostante la nostra cortesia, la capacità persuasiva e la forza dei nostri argomenti in difesa delle donne non si trovava un varco, la risposta da dare alla nostra "donna in ambasce" era una sola. "Fatti un circolo per conto tuo". E così i circoli crescevano.

Ma anche da noi a Roma c'era qualche problema.

In sede centrale c'era un po' di rivalità tra maschi e femmine. Personalmente io arrivai quando già Rita aveva fatto qualche piccola battaglia per ottenere cose indispensabili per lavorare: stanza, scrivania, computer, telefoni, cancelleria, ecc.

Accadeva però che talvolta le stanze dove noi donne lavoravamo risultavano appetibili ai signori uomini che senza un motivo valido ci chiedevano di cambiare la loro stanza con la nostra. Oppure si accomodavano davanti ai nostri computer senza chiedere il permesso, li aprivano e pasticciavano l'ordine precostituito da Giulia Barbiero. Giulia era gelosissima del computer e si organizzò mettendo chiavi d'accesso ai nostri file. Così tutte noi imparammo cosa erano le password segretissime per accedere ai nostri computer, e altrettanto, tenevamo in gran segreto il prefisso per liberare il nostro telefono dal blocco automatico per le interurbane.

Una vera rivalità professionale e un'avversione viscerale era tra Rita Capponi e Michele Caccavale, l'onorevole che ha scritto il libro "Il grande inganno" per le edizioni Kaos. Rita non poteva vedere Michele e lui vedeva Rita come il fumo negli occhi. Non sapevo bene che cosa ci fosse alla base del loro guardarsi storto. So che tutti e due erano tra i fondatori dell'Italia dei Valori a Sansepolcro insieme a Di Pietro, Bordon, La Barbiero, la Paradisi, e molti altri. So anche che Caccavale cercava collaboratori perché da coordinatore del Lazio doveva star dietro a tanti circoli e tante persone che andavano e venivano da via del Corso, oppure telefonavano ponendo problemi di ogni genere. Accadde che Caccavale, secondo quanto mi ha detto Rita, aveva pensato che la Capponi potesse aiutarlo e fargli da segretaria. A questa sua offerta, Rita si offese e gli rispose che pure a lei occorreva un segretario e che volendo lo stesso Caccavale poteva assumere quell'incarico. Da quel momento fu guerra tra i due.

Un giorno che la situazione si stava facendo esplosiva perché ancora una volta venivamo espropriate dei nostri spazi e delle scrivanie sulle quali lavorare sentii dire a Rita: "Se avessimo un paio di baffi nessuno si permetterebbe di trattarci così". Michele non rispose e si trasferì nella stanza di Willer Bordon. Nella sua, infatti, c'era Alessandra Paradisi, portavoce di Di Pietro con Lia, la sua segretaria ed altre collaboratrici che non facevano parte del dipartimento delle donne.

Di Pietro non sapeva di queste scaramucce. Ogni tanto gli portavo a vedere di quanto aumentavano le adesioni femminili e lui era contento. Per "l'assunzione di responsabilità" che Rita si era inventata, approvò e davvero poi utilizzò la rete da noi creata per candidare tante donne alle elezioni europee e per dare incarichi politici. Aggiungo che i timori di Rita circa la intrattabilità di Di Pietro mi parvero eccessivi. Con me il Senatore è stato sempre gentilissimo e se mi è capitato di vedere Di Pietro incazzato, fu soprattutto nei giorni in cui litigava perché non voleva che si servissero del suo CED senza che lui o sapesse. Parisi stava per essere nominato presidente e il Senatore era all'angolo. Ma di questo dirò in seguito.

Vorrei intanto scrivere, prima di dimenticarmene, che c'era una stanza in fondo al corridoio in cui lui dormiva. Una sera (erano le ventiquattro di un venerdì) io mi trovavo ancora in ufficio in via del Corso per portare a termine dei comunicati stampa. Spesso mi attardavo fino alle ventitré e oltre perché per i miei impegni di lavoro non riuscivo ad arrivare in sede prima delle 18,00. E tra tanto il da fare e il tempo trascorreva in fretta senza che me ne accorgessi. Il più delle volte c'era Giulia Barbiero con me, che ad una certa ora andava a prendere due bicchieri di cioccolata dalla macchinetta, in sostituzione della cena. Poi però, intorno alle undici di sera, mi informava che si era fatto tardi e ce ne andavamo a casa. Quella sera dunque ero da sola e non mi preoccupavo perché da basso c'era notte e giorno una volante della Polizia che sorvegliava i nostri uffici. Entrarono ad un certo punto due donne del servizio di pulizia. Portarono a termine il loro lavoro ed andarono via. Sentii ancora aprire il portoncino d'ingresso e pensai che le ragazze della pulizia avessero dimenticato qualcosa. Dopo poco mi trovai davanti il Senatore Di Pietro che meravigliato mi chiese: "E che fa qui a quest'ora?"

"Porto avanti dei comunicati stampa da dettare domani".

 Mi osservò e poi sorridendo aggiunse "Basterebbe un pugno di persone come lei per far andare al massimo un Partito".

"Troppo buono - dissi - Il fatto è che io prima delle diciotto non ce la faccio ad arrivare. Poi, sinceramente, siccome qui verso le diciannove se ne vanno tutti, mi piace restare a lavorare tranquilla senza suoni e rumori e soprattutto senza viavai di persone."

"Ma lo sa che ore sono?"

"No. Non porto l'orologio".

"Sono le ventiquattro e cinque minuti".

" Non sapevo che fosse così tardi. Tra poco vado via. Ho da lasciare in memoria quello che ho scritto, poi chiudo".

"Ma ha le chiavi?"

"No. Siamo d'accordo con Caccavale che l'ultimo tira la porta e se ne va".

"Ha un bel coraggio lei", mi disse Di Pietro, poi con un sorriso speciale chiese: "Perché non mi racconta di quando stava da Mike Bongiorno?"

Sorrisi imbarazzata, poi dissi "Cosa c'é da raccontare?"

"Mica lo sapevo che lei aveva fatto tutte quelle cose" e mi sorrise ancora in quel modo accattivante.

"Niente di particolarmente difficile - dissi - i quiz sono in fondo divertenti anche se è necessario impegnarsi a studiare. E' molto più difficile fare altro".

"Per esempio?"

"Per esempio pubblicare libri o ricerche. Aprii un cassetto della scrivania e presi una rivista universitaria. Questo - gli dissi mostrandogliela, mi è costato molta più fatica che partecipare ai quiz".

"E perché?" chiese.

"Perché i quiz sono il "luogo" più democratico che abbia mai conosciuto, rispetto a tanti altri luoghi, persone, ambienti".

"L'ho già sentito questo discorso - rispose - anzi l'ho letto... - Poi aggiunse - Perché noi qui non siamo abbastanza democratici?"

"Direi una falsità se lo affermassi. Anche perché stiamo facendo l'accordo con Rutelli che si chiama "Democraticiperlulivo". Abbiamo già pronto il Sito Democraticiperlulivopuntoit. Come faccio a dire che qui non ci sono i democratici?"

"Ah democratici in quel senso?" rispose Di Pietro ridendo di gusto. Ma sa che è un bel tipo lei?".

"Forse, lo so..." dissi.

Il Senatore si allontanò. Trascorse ancora circa un quarto d'ora e a quel punto ero in procinto di andarmene anch'io. Andai a salutarlo perché l'avevo visto dirigersi verso il lato sinistro del corridoio dove c'erano l'ufficio suo e quello di Bordon. Lo chiamai ma non rispose. Entrai senza trovarlo. Pensai che fosse andato a dormire. Ma non capivo come, se non mi era ripassato davanti.

La stanza dove, quando era troppo tardi per tornare a casa, Di Pietro dormiva, era una bella camera in legno massello con un letto, qualche cassettiera e pochi quadri. Un arredamento spartano ma bello nella sua totale semplicità. Appena dopo la porta d'ingresso, sulla destra, un attaccapanni con tre pomelli in legno, raccoglieva un accappatoio di spugna, e di lato vi era appesa una corona del rosario con i grani in madreperla bianca. Sul comò si notava, unico soprammobile, un piccola immagine di Padre Pio incorniciata in un portaritratto rotondo di peltro. Sul comodino molti libri posti in ordine di grandezza, erano piccoli segni di come poteva essere la personalità dell'uomo a cui appartenevano.

Naturalmente, quella sera evitai di avvicinarmi alla sua stanza da letto per non disturbare. Spensi le luci, uscii e tirai la porta.

Giù in strada vidi la solita macchina dei poliziotti di guardia. Gli feci un cenno di saluto e mi accorsi che Di Pietro era con loro. "Buonanotte", mi disse. "Buonanotte", risposi e mi allontanai per via del Corso verso piazza Venezia. Poi mi girai e mi accorsi che, salutati i poliziotti, lui rientrava verso il suo ufficio-abitazione".

"Che stesse aspettando la mia uscita per andare a dormire? Eh sì - mi dissi - E' ridisceso di notte in strada per trascorrere mezz'oretta in attesa che andassi via". Mia madre avrebbe detto "da padrone a garzone". Mi chiedo chi abbia voluto tutelare non restando su a quell'ora di notte, la mia onorabilità o la sua reputazione?" Forse ha soltanto voluto usarmi una gentilezza per non farmi fretta con la sua presenza.

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8. Lo sguardo sul mondo di un solista

Si chiama Pierluigi Diaco, ha fondato il 25 ottobre 2000 "Il Partito di Internet" con lo scopo di unire i giovani e i meno giovani in un'area del "non voto"dei delusi dalle ideologie, per battersi in concreto per migliorare la qualità della vita e del divertimento.

I suoi punti programmatici sono sette:

1- Individualismo; 2-divertimento; 3-fantasia; 4-innamoramento e non amore; 5-serenità intellettuale; 6-passione e sessualità; 7- tradimento.

Afferma che dopo questa prima fase divulgativa attraverso Internet, nel 2006 vincerà le elezioni.

Il suo Movimento viene descritto dallo stesso ideatore come "un movimento di individualisti, di persone perbene, di identità forti e romantiche, di personalità complesse e ambiziose, di uomini e donne speciali".

"Nasciamo - prosegue Diaco - per integrare i partiti nel loro ruolo, perché pensiamo che la forma-partito non abbia più senso nell'Italia di oggi".

Sull'individualismo scrive: "Non è solitudine. Ho sempre odiato la dimensione collettiva della politica, della vita, della famiglia".

L'istinto individualista che lo contraddistingue contrasta col bisogno di collettività . Il suo sguardo sul mondo è lo sguardo di un solista, è assolutamente fisico, carnale, passionale. I tempi e le occasioni del solista, il ritmo dell'individualista viaggia su passi asincroni e ispirati. Senza poter garantire direzioni, senza poterne accettare di prestabilite. Interroga la vita con un sorriso. La sua partitura è irrinunciabilmente per voce sola.

Ho trascritto le frasi di Diaco perché leggendole mi è venuto in mente il testo di una canzone:

 

"Voglio una sinistra a modo mio,

compatibile col Dio di chi è solo e vive in libertà"…

 

che evidenziava proprio l' obbligo di collettivizzare tutto ciò che c'era nella convinzione di chi affermava di considerarsi di sinistra.

Mi ricordo che, quando abitavo a Milano, ero diciannovenne, e dopo un anno di durissimo lavoro in un ristorante, riuscii a mettere da parte la cifra occorrente per pagarmi un bel viaggio  in Tunisia. Erano gli anni settanta. Tra la gente che conoscevo, nessuno aveva pensato ad un viaggio così lontano dall'Italia. Non si usava, almeno nell’ambito delle persone alla mia portata. Ritenni importante avere abbastanza denaro per fare il viaggio e rimanere un mese in quei posti che mio padre mi aveva tante volte descritto durante la mia infanzia. Così andai a Jerba, Tunisi, Sidi bel Abbes, Kerouan , Sfax, Cartagine. Vidi l'avenue Bourghiba nella città di Tunisi, che mia madre diceva un tempo chiamarsi avenue Jules Ferry* ai tempi in cui lei vi abitava e comandavano i francesi. Girai pure alcune pellicole a colori in Super otto e che feci vedere in famiglia. Però avevo una certa ritrosia a parlare del mio favoloso viaggio. Mi pareva un insulto per coloro che non potevano permetterselo.

Così come, quando dopo un anno acquistai una roulotte pagandola un milione e centomila lire con dodici rate da centomila lire al mese compresi gli interessi, ebbi lo stesso imbarazzo. Non avevo i mobili mi ricordo. In casa mia era tutto provvisorio ed arrangiato; cucinavo sul camping gas, appendevo i vestiti dove capitava, però ci piaceva avere la roulotte. Io non dissi a nessuno delle persone che lavoravano con me alla Kodak, che avevo fatto questo acquisto. Lo sapevano i miei familiari però, a cui misi a disposizione la mia roulotte parcheggiata in un campeggio sul lago di Como. E da Napoli venivano su a turno a trascorrervi le vacanze. Io li raggiungevo la domenica per fare insieme a loro delle ricchissime grigliate all'aperto.

Anche in Calabria, Basilicata, Campania; in luoghi bellissimi come Palinuro, Maratea, Ischia, la mia roulotte era un po' la casa di tutti. Partivamo in vacanza tutti insieme; io, mia madre, le mie due sorelle con i fidanzati, i miei due fratelli e qualche amico. Naturalmente avevamo in dotazione anche delle capacissime tende familiari, oltre ad alcune canadesi dove dormivano i ragazzi più giovani.

Mia madre cucinava e poi c'erano i turni per lavare i piatti. Tutti uguali, maschi e femmine. Tutti con gli stessi diritti-doveri. Erano tempi belli.

Allora, questo senso di pudore verso ciò che si possiede e che gli altri non hanno da che cosa mi deriva?

Alcuni affermano " il mio dna è di sinistra". Io veramente non so. Il mio dna potrebbe essere di sinistra, ma da chi l'ho ereditato?

Non certo dai miei genitori che avendo vissuto a Tunisi avevano una conoscenza degli accadimenti italiani durante e prima della la guerra molto singolare.

In casa mia siamo tanti e ognuno ha un'idea diversa, o quasi.

Saranno le letture? I testi di filosofia, di letteratura? Oppure, il mio considerarmi di sinistra sarà dovuto a come ho vissuto? Alle difficoltà che ho incontrato in quanto appartenente ad una classe sociale senza sconti e senza privilegi?

Credo di dover smettere di approfondire questo argomento perché i miei "cinquant'anni di solitudine" emergerebbero prepotenti dai pulsanti della tastiera. Dovrei rammentare tutta l'alta muraglia di confine che mi ha impedito di uscire, che mi ha impedito di entrare. Che mi ha fatto capire come alcuni luoghi sono a compartimenti stagni. O sei nata con la chiave in tasca, oppure puoi procurartela attraverso una serie di compromessi. Non ho mai voluto certo genere di chiavi, anche se ho capito come si potevano ottenere. Ho preferito i miei cinquant'anni di solitudine che un giorno saranno cento se le cose non cambieranno per me e per gli altri.

Ma proseguiamo col concetto iniziale. Non è per questo che ho cominciato questo paragrafo? Parlavo dell'individualismo. L'individualismo che orgogliosamente ostenta Pierluigi Diaco. Sì, lui oggi se ne fa un vanto, mentre prima ci si vergognava del desidero di privacy, di benessere, di isolamento, calma, meditazione. Sembra, o meglio sembrava una volta che tutto dovesse essere condivisibile. Ricordate gli slogan? "spesa proletaria", "la proprietà è un furto", "il diciotto politico all'Università?". 
"Tutti i figli di Dio hanno le scarpe", è un'altra canzone ispirata da bellissimi versi letti con emozione. Eppoi John Donne con "Per chi suona la campana".

Molto di quella generosa ideologia è rimasto. Quando si dice che morendo Gassman o Strehler o Totò o, appena ieri, Giuseppe Sinopoli, muore una parte di noi, è vero. La campana suona a morto anche per noi perché una parte della nostra storia, una quota del patrimonio culturale ed umano che ci appartiene se ne va per sempre. Direi... qualche cellula del nostro corpo in trasformazione, col suo patrimonio genetico, va ad unirsi agli atomi in scomposizione del corpo in disfacimento, per accompagnarlo nel viaggio verso il mistero. Che ne sappiamo di quello che accade nei posti invisibili; nell'infinitamente piccolo? Chi muore non è solo e lo sa. Le sue e le nostre cellule divenuti atomi potrebbero essere insieme. Per diminuire il turbamento dell'andare incontro a dimensioni sconosciute. E mentre viaggiano, questi atomi hanno all'interno fermioni con iscrizioni, messaggi, suoni, colori e sapori. I quark delle nostre cellule si mescolano a quelle del defunto per comporre un'entità nuova, col doppio vantaggio di impreziosirsi (pensate le note del maestro Sinopoli, alle frasi di un poeta) e per dare al contenuto il conforto della nostra solidarietà con l'offerta del meglio che abbiamo. Perché credo che a questo punto le nostre cellule atomizzate avranno l'intrinseca intelligenza di portare agli atomi di Sinopoli il meglio tra i codici del nostro dna. Il vantaggio deve essere reciproco. E' questo il senso dello scambio tra umani, vivi o morti. Il valore dello scambio dipende dal livello e dallo scopo per il quale avviene.

Ecco che torna l'individualismo e l'insieme. La collettività e la singolarità.

Che tutti i figli di Dio debbono avere le scarpe? E sacrosanto! Intendendo per "scarpe" quell'insieme di beni materiali, culturali e morali che differenziano un'esistenza dignitosa da un'esistenza travagliata, povera, priva di risorse presenti e future.

Da qui a considerare la proprietà un furto c'é un po' di differenza. Credo che anche questo argomento necessiti di considerazioni approfondite. Spero di trovare il modo di spiegarmi in sintesi.

Certa televisione, a partire da Dallas, ha liberato la gente. Ha cancellato o appannato quel disagevole senso di colpa che io manifestavo in maniera così evidente, ma che, credo molti, anche con ideologie di destra o centro, avessero, pur senza confessarlo a se stessi. Il culto della persona, il diritto di essere belli, amati, ben pettinati; l'ammirazione per le case con prato inglese e piscina. E poi, l'abitudine a parlare con tutti di tutto, a sviscerare anche i più piccoli particolari delle proprie giornate, i motivi delle frustrazioni, dei desideri inappagati; di cosa ci piace mangiare, di come desideriamo essere amati, di come vorremmo capire il perché di un gesto di una parola o di un'inezia. Il Minimalismo applicato alla quotidianità delle soap opera, colpevole di limitare il mondo ad una idea individualista, a limitare gli orizzonti, ha avuto però il pregio di cancellare la vergogna di amarsi. Di aiutare a ritrovare il piacere di amare se stessi. Edonismo e liberazione dai sensi di colpa.

Grande liberazione. Anche perché chi non ama veramente se stesso non può amare gli altri. Forse per amarsi davvero bisogna iniziare dal comprare una camicia nuova ogni tanto e pettinarsi con cura.

Chi non si pettina non si ama? Non so. Magari ha da fare qualcosa di urgente. Però rammentiamo che le peggiori azioni verso l'umanità, gli omicidi, ma anche i furti, le furbizie terra terra a danno del prossimo, le piccole cattiverie si attuano perché le persone che le mettono in pratica non hanno abbastanza amor proprio. Non hanno stima di sé. Non amano il loro corpo, o non apprezzano la propria intelligenza. C'è un errore di valutazione alla base della loro scorretta esistenza che gli ha fatto credere di poter essere felici senza amare abbastanza se stessi. Non è così. La felicità è invece dormire tra due guanciali. Dire ogni giorno alla propria immagine mentale: "Non ho fatto danno". O, quando vi si riesce, dirsi: "Oggi ho fatto cose buone. Per me, per gli altri. Mi piaccio. Oggi sono felice".

Per parlarsi in questa maniera confidenziale però è necessario prima di tutto conoscersi. Senza paura, accettando le zone buie del nostro animo, gli egoismi, le debolezze che ci contraddistinguono. Dobbiamo in fondo accettarci con tutti i nostri limiti e il nostro talento. Così accettando noi stessi possiamo poi essere amati dagli altri di rimando, di imitazione.

L'individualismo, il desiderio di stare da soli non deve pesarci. L'uomo è un essere sociale che ha bisogno di meditare per conoscersi in silenzio. Capire se stesso in quanto essere irripetibile. Davvero irripetibile perché anche clonato non può essere uguale al donatore della cellula. Il clone sarà forse uguale fisicamente, ma miliardi devono essere le differenze con l'individuo originario; tra cui, l'essere vissuto in un certo periodo storico, con certi genitori, certe abitudini; essersi formato attraverso determinate esperienze e letture e conquiste e frustrazioni quotidiane. Il clone non può avere lo stesso “brodo di coltura", perciò è diverso. E non è questo il male. Il male, terribile, è la possibilità che possiamo cominciare a credere che ognuno di noi sia sostituibile. Pensate: se ad uno di noi venisse in mente di farsi clonare, per avere un essere da educare, formare, crescere, istruire; con tutte le opportunità che a noi sono mancate. Noi diverremmo per lui una specie di Dio creatore che ha il potere di pianificare anche la sua vita. Quindi con maggior potere del Dio a cui siamo abituati, in cui crediamo o non crediamo.  E poi? Ammettiamo che il nostro clone non venga bene, che commettiamo degli sbagli di impostazione; che sin dall'infanzia ci accorgiamo di quanto egli ci deluda; o peggio, quanto sia superiore a noi, alle nostre aspettative, da farci diventare al suo cospetto una pochezza. Abbiate pazienza, tutto questo può accadere perché la giusta misura è difficilissima da ottenere. Ebbene il nostro clone da adolescente, o da adulto o da bambino ci delude. Noi  che facciamo? Possiamo buttarlo, no?

Che importa è solo un clone, lo abbiamo inventato noi. Nessuno ci assicura che abbia un'anima e poi... Quante cellule abbiamo a nostra disposizione per poter rifarne uno migliore del primo? Buttiamo quello non riuscito e proviamone un secondo! Magari quest'altra volta con una minore dose di intelligenza, per poterlo surclassare e farne una specie di schiavetto che ci porti la colazione a letto. O piuttosto ne facciamo due. Uno così, un po' meno intelligente di noi perché non dobbiamo sentirci mortificati dal suo acume; l'altro con un quoziente intellettivo al di sotto della soglia della normalità, un sub-sub-sub normale. Con tre "sub"lo chiamiamo questo secondo clone. Il primo sub perché è un essere che è a noi subordinato in quanto deriva da una nostra cellula, il secondo sub  perché non ha un'intelligenza media, l'ultimo sub perché è un essere nato per rappresentare una terga categoria  "quella dei pezzi di ricambio".

Non avremo un giorno necessità di trapiantarci un rene un po' "inguaiato"?

E lui il sub-sub-sub normale che ci sta a fare? Espiantiamogli il rene prendiamocelo noi.

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9. L’essere umano. Irripetibile

Torniamo, è meglio, alla irripetibilità di ogni individuo. All'individualismo di Diaco, al mio individualismo. Alla ricerca di compatibilità del nostro viaggio introspettivo col bisogno di essere sociali e con la coscienza collettiva. E'ancora una questione di equilibrio; che ha un tracciato ideale da percorrere andando sul  quale si colmano i nostri bisogni e quelli degli gli altri.

"Non mi vergogno di dire che vorrei una bella Mercedes e anche un motoscafo", mi ha detto un parente durante il pranzo di Pasquetta. Parlavamo di politica. Litigavamo di politica cioè. Insomma, ci siamo intossicati la lasagna.

Non credo che ci si debba vergognare di desiderare una bella macchina o qualche altro bene materiale. Il senso dell'essere di sinistra oggi è nel volere che ogni individuo abbia la sua dignità di base: opportunità di studio e di crescita per sé e i propri figli, un'abitazione decorosa, un lavoro, cure sanitarie adeguate in caso di malattie, la tutela dei bambini e degli anziani. Il diritto di vivere in un ambiente pulito, non inquinato.

Oltre a ciò si potrebbe aggiungere il diritto di accedere alla cultura facilmente, la possibilità di diffondere le proprie opere dell'ingegno se ne ha. Il diritto di tentare di essere felice.

Questo. Tutto il resto può prenderselo chi è capace. La ricchezza, l'accumulare soldi, ville, o azioni, o quadri d'autore, o fabbriche di biciclette, o gioielli, o libri, o tappi di bottiglia o film d'autore. Non c'è niente di male in tutto questo. I giocattoli non sono un peccato.

 

*Ferry Jules-françois-Camille, (Saint-Dié 5-4-1832 - Parigi 17-8- 1893. Politico francese, della III Repubblica. Oppositore di Napoleone III. Fu Ministro dell'istruzione  e stabilì nel 1882 - 83 la gratuità , laicità e obbligatorietà dell'istruzione con l'insegnamento secondario. Fu presidente del Consiglio e introdusse il divorzio. Promosse l'espansione coloniale francese (Tunisia, Congo francese, Madagascar, Tonchino) 

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10. Citando Diaco:

"Dobbiamo divertire la politica, non politicizzare il divertimento - il sorriso 
innanzi tutto. E' un'arma che mi consente in ogni momento di uccidere l'avversario. Sempre. Il sorriso permette di uscire da situazioni difficili in cui la parola non basta, in cui la battuta, anche quella più naturalmente teatrale, non aiuta. E poi il sorriso è qualcosa che mi sta molto addosso, meglio del mio miglior vestito: divento più bello quando sorrido"

Appello al futuro presidente del Consiglio.

"Non perdete l'occasione...
Egregio signor futuro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (in seconda battuta mi rivolgo comunque per non sbagliare a Francesco Rutelli).
I ragazzi della mia generazione sono tutti consapevoli che la pensione non la vedremo mai. Toglieteci l'illusione della pensione e offriteci un sussidio di  ottocentomila lire al mese".

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